Questo racconto, ambientato negli anni quaranta del novecento, oltre a raccontare un episodio davvero accaduto quando mia madre Teresa era piccolissima, ci introduce nel momento topico del cambio di cultura avvenuto in Sardegna con l'avvento dell'apprendimento della lingua italiana e della scolarizzazione della popolazione. Si noti, infatti, il linguaggio chiamato "italìanu proccheddinu", ovvero italiano misto al sardo che, certamente, ha caratterizzato quei tempi, favorendo, tuttavia l'apprendimento della nuova lingua con l'esplicarsi di un perfetto idioma, e che ancora oggi permane, con la differenza in peggio che, ora, pochissimi parlano un buon italiano e quasi nessuno parla in limba. Assistiamo sconcertati a un forte fenomeno d'analfabetismo di ritorno e una gravissima dispersione scolastica. Le gravi problematiche che affliggono la scuola italiana e la società di oggi saranno trattate prossimamente. Dal canto mio credo fermamente che testimoniare con amore la propria cultura sia, attualmente, l'unico strumento efficace per dare un'anima forte, su moèddu, ai nostri figlioli. I ragazzi amano coloro che narrano e adorano ascoltare la lettura ad alta voce. Compiuta nell'infanzia, da zero ai sei anni, la narrazione ad alta voce è il mezzo più potente per la creazione delle sinapsi cerebrali. Ma questo è altro argomento da sondare dettagliatamente, anche perché è fondante nel mio fare EDUCAZIONE OLISTICO-PERMANENTE.
MUSKITU
(Racconto
tratto dal libro “Il sasso di Sisifo” di Graziella Pinna
Arconte)
Copyright © 2011 by Graziella Pinna Arconte, all right
reserved.
Dedico questo racconto a nonna Loche, a nonno Loi, a mia mamma.
Dedico questo racconto a Annamaria Capraro, a Gigi Sanna, a Aba Losi, a Romina Saderi, a Enzo Marciante, a Leonardo Melis, a Anna Ardu, a Brunella Salis ... e a tutti coloro che proveranno un senso di tepore nel leggerlo.
MUSKITU
-“Ho fame mamài”.
Boccoli castani
profumati di liscivia, occhi verdenocciolasardo sgranati, fissi nella certezza
del diniego e, pur tuttavia, speranzosi a mirare il cielo di quella piccola
cucina dai mattoni di crudo, intonacati di calce azzurro pallido.
Teresa sedeva sullo
sgabello di ferula abbastanza alto da lasciare che le sue ginocchia, valghe e
sbucciate dal freddo e dalla giarra
della strada, s’annodassero in un groviglio di gambette talmente magre e
dinoccolate da sembrare più di due.
Antoni, babài, lo aveva preparato appositamente
per lei che da tempo lo reclamava perché a Marieddu, suo fratello, tzieddu Juanni aveva regalato un maseddu bellissimo, fatto con nodosi e profumati
tronchetti di ginepro.
-“Tengiu famini ancora,
mamài!”
Filomena, mamài, aveva diviso in sei spicchi
uguali l’ultimo krivaxu della provvista del pane, che lei stessa preparava
ogni settimana con la farina che gomari Juannichedda le dava in cambio d’un bel
cesto di pesci vivi-vivi pescati a fiocina, alla luce della fraka, poi lampara, da Antoni.
-“Teresa, altro pane
non te ne potzu dare, ché quella perra
è la parte per tuo padre quando torna affamato da marìu …”
La bambina capiva
perfettamente che mamani aveva ragione e, certo, non si poteva essere così
egoisti da pretendere anche la fetta paterna di krivaxu!
Già, però la pancia
non voleva sentire ragioni.
Teresa posò sul suo
esile, smagrito grembo entrambe le mani, come a voler ostinatamente difendere
quella legittima richiesta e proteggere, con un gesto solenne al modo di una
preghiera, il corpicino fragile che aspirava a crescere anche a dispetto della
malnutrizione.
Lo sguardo vagò in
un altro disperato tentativo, nella stanza, penetrando quello dispiaciuto, ma
determinato, di Filomena. Una parte di pane per ciascuno … Di più non era
possibile.
E allora gli occhi
di Teresa caddero a terra, sul pavimento di gres e pietre nere e in un impeto
tanto dignitoso, quanto mesto e pieno di orgoglio ferito, ricacciò indietro le
lacrime.
“E tu, vai in centu
tiàus! Accidenti a questo gatto sempre tra i piedi!”
Mamani, furiosa
dalla miseria, diede un calcione a Muskitu, il gatto di Antoni, ch'era da un
po’ apparso sulla soglia della porta di cortile, muto testimone
dell’ineluttabile.
Senza reclamare,
Muskitu scomparve mentre il rosso del tramonto, tagliando nella metà perfetta su potallitu, illuminava l’ambiente
dell’ultima luce del giorno invernale, di quei giorni che fa buio presto.
-“Marieddu, porta la
legna che accendiamo un po’ di fuoco. Presto, così ci vediamo, che restare a
buio non mi praxit!”.
A Marieddu non
sarebbe passato nemmeno per l’anticamera del cervello di non obbedire
immediatamente all'ordine di mamài, anche perché, di suo, egli era un
ragazzetto molto servizievole. Eppoi, disobbedire alla madre era come
commettere un sacrilegio … Chi lo avrebbe sentito babài? … Aggùai!
Scattò in piedi al
comando e tornò lesto con una bella fascina di lunghi legnetti sottobraccio e
due astue di olivo, diaria del lavoro
di potatura dell’oliveto di gopari
Tziku, quelle che durano molto e fanno molta brace. Posò tutto dentro l’ampio caminetto dove Filomena
si era già infilata a preparare l’allomingiu.
In men che non si
dica un fuocherello incoraggiante e gaio scoppiettava incurante delle pance vuote degli astanti.
Teresa, come
ipnotizzata, seguiva i guizzi allegri e multicolori delle fiamme dimenticando,
in quel tempo senza tempo, d’essere affamata. Luci e ombre si rincorrevano sul
lindo e stirato vestitino che, seppur corto ormai fino a scoprire le sue
coscette scarne, conservava per intero l’inalterata dignità di Filomena, la
quale amava ripetere che, anche se poveri, i suoi figli li voleva puliti e
profumati come rose.
E quando usciva
nella via per la consueta chiacchierata con le gomari del vicinato ella si portava dietro, tra le impeccabili
pieghe delle sue gonnelle da quattro teli e mezzo e il candido petus, i figli adorati e un delicato,
quanto persistente aroma di pulito.
Erano decorosi e
lindi i suoi luoghi … Profumo di mio sogno …
A causa di questa
sua mania per la pulizia e l’igiene non
amava affatto avere animali in giro per casa: né cani, né gatti. Muskitu lo
tollerava perché viveva all'aperto eppoi, come le faceva continuamente notare
Antoni con malcelato sussiego, Muskitu, oltre ad essere un cacciatore provetto
e grande liberatore di cortili da topi di varia dimensione, era uno
straordinario animale dotato di poteri fuori dal comune. Anzi, a dirla tutta,
babài sosteneva che Muskitu era la trasmigrazione dell'anima di qualche antico,
tornato a vivere a casa sua sotto forma di gatto, in attesa di poter riprendere
la forma da cristiano.
Ogni volta che
Antoni proferiva tali parole, Filomena lo guardava inorridita e si bloccava
qualsiasi cosa stesse facendo, sottolineando la propria repulsione e segnandosi
con una plateale croce.
-“Per carità,
Antoni, ita ’e cosa mala stai dicendo! Tocca, smettila di
bestemmiare che mi stai spaventando, pure!”
-“Eja, eja, altro
che bestemmia! Aici est, anche se tu
non ci credi. Ma non te ne accorgi che questo gatto fa cose da cristiano?”
-“Ho detto di akabarla e basta! Un gatto ladrone e famigoso è. Tocca, zitto, che per oggi
di corbellerie ne hai detto più del solito. Santa Maria mia, per la carità!”
Il gioco
policromo delle fiamme fu interrotto da
un felpato rumore che proveniva dal portaletto di cortile.
Teresa aguzzò le
orecchie.
Silenzio.
No. Ancora.
-“Ssshhh … Senti
mamài!”
Ora, il picchiettio era chiaro ed entrambe seppero
che proveniva dalla porta di cortile.
-“Oiamamia, e chi può essere che appìcchia da lì?” – Filomena,
superstiziosa com'era in fatto di diavoli, is
tiàus, come li chiamava lei, già tremava come una foglia all'idea che
qualcuno di quelli si trovasse acquattato dietro la parte inferiore del
consumato uscio, per il puro gusto di fare dispetto a lei.
E, rivolgendosi alla
figlia mischiava il sardo all'italiano, perché la nuova lingua loro la
parlavano eccome!
-“Poita sanno che li temo! Cessu, Teresa, già la facciamo bella immoni, kentza di Antoni in domu!”.
-“Eh, tocca mamài nou timast, che non
saranno tiàus. Ita ‘e tiau, mamài,
smettila, che mi stai facendo venire paura anche a me!”.
Nonostante la tenera
età, Teresa non era certo una bambina pavida! Al contrario, la sua temerarietà
le consentiva d’essere tra le ragazzine più considerate e rispettate dalla
banda dei coetanei nella via.
Tuttavia, quel
felpato bum-bum che proveniva dal fondo della cucina le aveva ormai trasmesso
una considerevole fifa e già se la vedeva la punta delle corna del diavolo
spuntare da su potallitu.
Eppoi, Muskitu non
poteva essere, perché lui miagolava sempre quando voleva entrare, specie se
sentiva odore di brodo di pesce in cottura. Più di una volta, però, era entrato
furtivamente quando Antoni aveva spento il fornello e deposto il pesce
fragrante su un letto di cipolline e sale.
Dinnanzi ad una
visione così paradisiaca Muskitu non si era potuto astenere dal commettere
eclatanti furti dal piatto, sotto il naso dello stupefatto padrone che gli
rendeva l’onore delle armi, ammirato da cotanta maestria.
-“Balla, arratza ‘e pisitu ladroni. Mabagràbiu
si ‘’ddui fetzat! Accidenti, che gatto abile a rubare! L’unico grasso della
famiglia è lui!”.
Antoni rideva
divertito, invece Filomena schiumava rabbia da non credere, pensando al gatto
con la pancia piena e ai figli con la pancia vuota!
-“Nou t’arranneghist, Filomena, gattu est!
Antoni non
assecondava Filomena negli scatti d’ira anti-felino, perché quel gatto era per
lui un amico prezioso da tanti anni. Lo seguiva passo, passo ovunque, come un
cane. Quando andava a marìu, a barràka,
a Su Siccu, se lo caricava a bricichetta
e il gatto restava lì, dentro lo scateddu
dietro al sellino, immobile come la mummia egizia di Bastèt, per dieci
chilometri. Poi, quando arrivavano, scendeva con balzo agile sull'arena, dritto
dritto a ripulire la barràka dai topi.
Tutte le mattine,
quando Antoni rientrava da pescare, un ratto-madrona stecchito campeggiava in bella mostra sul tappetino d’ingresso
della capanna.
-“Alla ‘a Muskitu, oi puru at fatu su doveri!”
Sì, decisamente,
Antoni non poteva che essere grato a quel gatto furbissimo e tenace. E il
micione ricambiava con palese fierezza, servendo il suo padrone come meglio
poteva. Inoltre, era un gatto poliedrico e con altre, diversificate attitudini.
Per esempio, era un abilissimo giocoliere! Antoni lo aveva addestrato. Sapeva
anche fare acrobazie da consumato artista del circo.
-“Destra, Muskitu!”.
“Manca, Muskitu!”.
All'ordine imperativo di Antoni l’animale, accomodato sulle zampe posteriori, in maniera
assolutamente innaturale per un gatto, porgeva ora la zampa destra, ora quella
sinistra, a seconda del comando. Oppure, Antoni gli intimava di scavalcare
ostacoli sempre più alti, che il gatto superava saltando da fermo, levitando
come una molla davanti al pubblico sempre più numeroso dei vicini, adulti e
bambini, che ogni notte, seduti al fresco, assistevano increduli alla
straordinaria performance del gatto acrobata.
-“Tocca, mamài
ka depit essere Muskitu! Io, immòi, mi faccio coraggio e aperu su potallitu.”
Quando Teresa,
superata ogni titubanza, riuscì ad aprire la porta di cortile, ecco apparire
Muskitu che, trionfante, portava, tra le fauci spalancate fino allo spasmo,
compiendo uno sforzo “disfelino”, la
metà di un grande krivaxu, rubato, caldo, caldo, dal forno di chissà chi nelle
vie del circondario.
Teresa, a momenti,
non sveniva per la sorpresa.
-“Mamài, oiamamìa, est diaderus Muskitu cun
‘dd ‘unu arrogu de krivaxiu me in farrankas! Tenit arraxoni babài ka est
s’anima de cuncunu torrau! Mamani, il gatto è diaderus un nostro parente
tornato … Ha capito che abbiamo fame e ci ha tragato unu arrogu di pane grande!”.
Filomena non poteva
credere ai suoi occhi. Guardando la bestia nelle pupille ebbe l’impressione che
questa la stesse fissando con fare furbastro, perfino compassionevole e con una
strana luce ironica tra le verdi fessure.
In un attimo le
passarono nella mente le innumerevoli volte che aveva cacciato via l’animale in
malo modo e, anche se l’ultimo barlume di razionalità la induceva ad esser
consapevole che il pane, il gatto, se lo voleva mangiare lui, pur tuttavia provò
immediatamente irragionevoli quanto comprensibili sensi di colpa e di
ammirazione verso Muskitu che, dal canto suo, osservava la stanza adocchiando
l’angolo più caldo, vicino al caminetto, dove avrebbe desiderato consumare il
lauto pasto.
Mamài non esitò oltre. Si recò a passo lesto verso il gatto e con
destro guizzo, prima che questi se ne rendesse conto, gli strappò letteralmente
il pane dalle fauci.
In quella, Antoni,
tornato da lavorare, entrato in cucina, fece in tempo a vedere la scena.
-“Eita t’aìu nàu deu? Cosa ti avevo detto,
Filomena, che quello è l’anima di un nostro babài? E tu che lo pigavi sempiri a puntadàs de pei a cùlu”.
Se gli fosse entrato
un milione in tasca, Antoni non sarebbe stato più soddisfatto.
Che roba! Che
intelligenza!
Aveva voglia
Filomena di dire che il gatto aveva pensato più che altro alla sua pancia!
Nemmeno per sogno. Antoni era più che certo che Muskitu avesse agito in un
anelito di pura comprensione per Teresa e che fosse andato in cerca di pane per
sfamare la sua figliola.
Ad ogni modo, o di
riffa, o di raffa, Teresa aveva prontamente afferrato il pezzo più grande del
pane, che Filomena aveva già porzionato senza perdere tempo e se ne stava
dentro la giminèra, con le guance gonfie a scoppiare, cercando di masticare il
lauto boccone che aderiva in sovrabbondanza al suo palato, col rischio di
morire soffocata.
-“Muskitu est unu angilleddu, mamani!” –
disse non appena la mollica liquida riuscì a scendere in gola.
Antoni, per
festeggiare la buona sorte, tirò fuori dallo stipetto a muro unu follu ‘e
buttariga e unu fiaskitu di vino rosso e se ne riempì un bel bicchiere. Poi lo
portò alle labbra levando in alto il braccio.
-“Sallùdi!”.
La lunga sorsata
ingurgitata sortì un immediato quanto benefico effetto sul volto di babài, che
diventò rosso, rosso, prexiàu e alligru ke puighi.
L’indomani mattina
presto Filomena avrebbe fatto l’infornata del pane settimanale e tutti
l’avrebbero mangiato per colazione a zuppetta, in un grande ciccarone colmo di
latte di pecora appena munto. Antoni ne
aveva portato una brocchittedda piena, che gliel’aveva data compari Pepi, in
cambio di un meraviglioso prangiu de pisci ‘e primu.
Iiih!, mancu berus le era sembrato a sa pobidda de Pepi, quando babài le
aveva detto se voleva cambiare il pesce col latte! Gli occhi le erano diventati
tondi tondi alla vista delle arangìoe
grandi e de su saraghìtu bìu, bìu, tutto saltando nel piatto ampio di
ferro smalto a fiori. Filomena lo aveva
cuncodrato per la bella figura. Antoni, quando sollevò su pannigheddu bianco
candido, non poté trattenere un sorriso compiaciuto vedendo come il piatto del
pesce era stato apparicciato dalla moglie che, con la solita trassa maniacale, aveva curato ogni
dettaglio.
-“Deus ti ‘ddu paghit, Antoni! Arratza ‘e
pisci bellu! Ge ‘ddu fiàus pagu disigendi, ka seus pòburus e su pisci ‘e primu
nou ‘ddu podèus pigài in sa panga!”
La moglie di Pepi
non sapeva come ringraziare babài per quel pesce di prima scelta. Di solito,
infatti, loro non potevano permetterselo e, quando compravano il pesce per un
po’ di brodo caldo, dovevano accontentarsi di pesce di seconda, se non di
terza.
-“Sallùdi!” – risposero tutti in coro.
Quello non era un
caminetto! Cussa giminèra era diventata un angolo di paradiso, dove poter
immaginare, senza paura di sbagliare e con la pancia piena, di poterla riempire
pure il giorno dappresso.
Teresa si sentì la
bambina più fortunata del mondo e guardava babài come l’eroe più grande.
Anche Filomena,
finalmente, prese posto al focolare e, sistemato bene bene su pannu ‘e ananti,
come usava fare sempre, dando alla sua figura una impeccabile immagine di
compostezza regale anche da seduta, portò entrambe le mani sul grembo,
stringendo tra queste il suo pezzo di pane. Lo teneva con delicatezza, conscia
di quella inaspettata benedizione e se lo gustava mollica per mollica, dopo
averlo fatto abbrustolire al calore della fiamma, come piaceva a lei.
“Mamani, deu puru ‘ddu keru abruskìau!” –
chiesero i figli in coro.
E lei, paziente,
prese il forchettone e infilò tutte le fette di pane mettendole ad abbrustolire
a debita distanza dal fuoco. Domani anche il pani kun gredas avrebbe preparato … quello sì ka est saboridu abruskìau! Poi, tagliato il buffo di
bottarga di muggine che babài non faceva mai mancare ne distribuì un bel pezzo
a tutti.
Fiant totus prexàus coment ‘e puighìs, papendi pani
‘e buttariga ai spegu!
Nelle cose più
semplici risiede la felicità perfetta …
Il calore dei loro
cuori faceva paio con la fiamma della giminera.
Nel silenzio quasi
solenne si udiva appena il deglutire lento di quella benedizione inaspettata.
Muskitu, manco a
dirsi, s’era trovato l’angolo più caldo del nido, acciambellato come una
biscia-caloru, allargando le fauci rinfrancato dalla porzione
di pane e bottarga anche a lui concessa e che assaporava con gran sollazzo,
leccandosi i baffi.
Aveva capito che s’era guadagnato il posto d’onore e
che Filomena, finalmente, lo avrebbe trattato come uno di casa.
Esattamente quel che era …
Graziella Pinna Arconte
Per i lettori del blog:
Teresa è la mia amatissima Mamma che ci ha lasciato,
giovanissima, nove anni fa.
Filomena è mia nonna, sua madre.
Antoni è mio nonno, suo padre.
Marieddu è suo fratello.
Muskitu, il primo di una lunga serie dei gatti di
nonno.
Il loro focolare è, ora, acceso di là.
Li vedo sereni come sempre, chiacchierare amabilmente
con gli antichi Padri e Madri, mentre assaggiano la bottarga buonissima di
nonno, o davanti a un fumante piatto di saixi su letto di cipolline, chibudda ... aparra, aparra 'e sali.
Mi guardano … e i loro occhi sono pieni d’amore.
So che mi aspettano e che mi saranno di grande
conforto al momento del trapasso.
Con tutto il mio amore... per sempre.
Graziella.
BARCA A DESTRA: MIO NONNO, ANTONIO LOI, A "SU SICCU". |
Tutt'ad un fiato mi sono immersa in questo racconto che profuma d'amore e amore di Vita. Un susseguirsi di emozioni.. col sorriso sulle labbra, ad accarezzare l'anima che emana luce eterna nel cuore. Bellissimo Gra.. tra quelle pagine di un'inchostro che solo all'apparenza può sembrare tale, danza a passo di lieta melodia, il vero senso della Vita... Non vedo l'ora di leggerlo ai miei bambini... come succo d'amore e speranza!!! GRAZIE, AMICA MIA... per me è un grande DONO!!! :-) <3
RispondiEliminaGrazie Lucia ...
EliminaHo intenzione di postare una bella serie di racconti d'epoca.
Grazie Luce ... per le tue bellissime emozioni ...
Molto importante trasmetterle ai bambini.
Un abbraccio carissimo.
RispondiEliminaRita Muscas
Graziella Pinna Arconte, fantastico !!! che belli, sono stata con loro eppoi tua nonna mi ha tanto ricordato la mia, con la mania dell'igiene e dell'ordine. Che bella famiglia, Che bello il loro semplice ma immenso amore. Che bello Muskitu, il gatto immortale....