La maga del Sinis
(di Graziella Pinna Arconte)
-“Oh, che guaio
Pepigheddu! Come siamo poveri … Abbiamo perso tutto!! Maledetta sia questa
carestia … Altro che se è nota a tutti i contadini e ai pescatori del nostro
paese, adesso! Dai … fammi il piacere … Prova di nuovo quel lievito, magari
riusciamo a ricavarci un pezzetto di pane per questa nostra creatura!”.
Comare Arega, la moglie di Pepigheddu, non si dava pace. Lei,
Pepi e il loro figlioletto, si stavano spaccando in due per la fame nera. Non
era rimasto loro nulla: il pezzo di terra in Sinis si era seccato completamente
… E le misere provviste che avevano in casa gliele avevano rubate altri più
poveri di loro.
In paese si era abbattuta una brutta calamità: da sei mesi
non pioveva e molte persone si erano ammalate di malaria perniciosa. Tutti i
giorni molti morivano anche a causa della forte debolezza.
Pepigheddu era disperato.
Badòri su Lillu gli aveva detto che in un luogo lontano nel
Sinis c’era un nuraghe dove abitava una maga che avrebbe potuto aiutarlo.
-“Salute, compare! Che
novità? Certo non sarei rimasto qui se fossi stato te! Ma perché non vai a
cercare la fata buona? Vedrai che lei potrà aiutarti! E dai … parti!!!”.
Finché, un giorno, di primo mattino, l’uomo, zitto, zitto,
per non svegliare la moglie e il figlioletto che dormivano nella camera da
letto cha dava alla strada, issa la sua bisaccia sulla spalla, oltrepassa
l’uscio di casa e prende la strada in cerca della maga.
Camminò per giorni e giorni: di giorno … di notte … sotto la
pioggia … sotto il vento … sotto il sole cocente fino al tramonto.
Quando pioveva al poverino si inzuppavano le vesti; se il
sole era cocente si cuoceva il cervello; solo se c’era il vento gli era più
lieve camminare. Egli portava in sorte la vita con la morte, scappando come un
leprotto dalla sciagura che si era abbattuta in paese.
Ogni notte cercava un angolo protetto per fermarsi
e accendeva un fuocherello per non essere visto da lontano da qualche nemico.
Solo allora mangiava un boccone dalle provviste che aveva messo in bisaccia.
Poi, con poca acqua, ingoiava la medicina che gli aveva dato il farmacista
della farmacia di Oristano per guarire dalle febbri malariche, quindi si
addormentava.
Pepi non aveva
nemmeno più il ricordo da quando stava camminando. Stava perdendo la pazienza e
la fede.
-“Mi sembra che torno
indietro!
Secondo me Badori mi ha preso in giro e mi ha
raccontato un sacco di bugie!”.
Quasi, quasi stava per
tornare indietro quando, dietro una piccola collina, vede la torretta di un
grande nuraghe.
Dovevano essere almeno venti giorni che metteva piede dopo
piede, il giorno che arrivò vicino a un grande nuraghe. Mont’e Prama l’aveva
lasciato indietro da tre giorni.
Come lo vide pensò subito che proprio quello
doveva essere quello di cui gli aveva parlato Badori.
-“Vuoi vedere che questo è proprio il castello della
maga? Ora mi avvicino! Vedremo se è davvero la sua abitazione.”.
Piano, piano, per
non essere visto da lontano, Pepi va verso il nuraghe
maggiore, sperando che
fosse davvero quella la casa della maga.
Avvicinandosi al
nuraghe … la vide.
Di
sicuro era lei! Com’era bella! Bianca e rossa come una rosa … il vestito colore
dell’oro e i capelli neri lunghi fino ai piedi.
Era un incanto il
guardarla.
Non si poteva levarle
gli occhi di dosso! Pepigheddu era rimasto senza
parole … fermo come un
tronco la guardava come se fosse uscita da un sogno.
Per svegliarsi, Pepi,
si era dovuto perfino pizzicare con la sua stessa mano. Facendosi coraggio
continuò ad
avvicinarsi. Non
sapeva che ella l’aveva già visto. Poco dopo, infatti, sente …
-“Che stai a pensare Pepigheddu? Coraggio, vieni avanti
… tanto so che sei lì!”.
Pepigheddu era
impietrito.
Come faceva la maga a
sapere il suo nome? Evidentemente Badori aveva ragione: questa era una fata di
valore!
Senza pensarci due
volte riprende il cammino in salita verso il nuraghe.
Ma straordinariamente la
maga si leva in volo e in un baleno gli si presenta davanti.
-“Che novità Pepi? Perché mi stai cercando?”.
-“Ti chiedo perdono
per il disturbo Grande Madre! Se mi sono permesso è perché sono disperato … Tu
che sai tutto, allora sai di sicuro che la carestia e i ladri mi hanno
rovinato! Il grano si è completamente seccato; le provviste rubate … e da
quando è morta la mucca non posso nemmeno più dare un poco di latte al mio
figlioletto Efisceddu. Qualche tempo fa riuscivamo a guadagnare qualche cosa dal pane e dal formaggio fatti in casa da Arega …
ma quei tempi adesso sono finiti maga!
Per l’amore della Madre, che ha un occhio di riguardo per
tutti i figli, aiutami! Non c’è rimasto più niente!”.
Pepigheddu teneva sempre la testa china e non si azzardava a
sollevarla per la grande vergogna che aveva perché lui non era uomo avvezzo a
chiedere.
La brava jana lo guardava amorevole e compassionevole.
-“Solleva il capo Pepi, che a chiedere non è vergogna! Io conosco
te e tua moglie e so che siete persone educate e oneste … Fatti coraggio che
voglio aiutarti!
E non aveva nemmeno
finito di parlare quando Pepi la vede infilare una mano in un sacchetto di
seta, poi estrarla chiusa in un pugno pieno di semi di grano. Svelta apre la
mano lasciando cadere i semi per terra. Il falò propiziatorio levava al cielo
alte fiamme. I semi, quando cadevano a terra nella cenere, in tempo di fare una
croce, si trasformavano in tante mucche nere come la pece.
Pepigheddu era perfino spaventato.
-“Per l’amore della Madre sia! Che magia è questa? Mamma mia che roba!
Non posso credere ai miei occhi!” Senza nemmeno accorgersi dalla gola di Pepigheddu
viene fuori un urlo acuto che nemmeno i corvi!
-“Guarda, Pepi! Tutte
queste mucche sono tue. Oggi finisce la povertà della tua famiglia. Svelto,
prendi il bestiame e torna in paese da tua moglie … chissà quanto sarà
contenta!”.
-“Io non so nemmeno
cosa dire maga! Sono rimasto con la gola secca, senza poter proferire una sola
parola!”.
-“Non devi dire nulla.
Solo devi continuare a essere l’uomo onesto che sei! Presto muoviti che il
tempo sta passando velocemente e la strada che devi fare al ritorno è lunga!”.
E così Pepi riprende il cammino per tornare a Cabras,
contento come una folaga. Le bestie erano molte, ma lui di notte non poteva
vederle.
Né poteva assolutamente immagina- re cosa stesse succedendo
in coda alla mandria. Il Demonio, maledetto, non poteva sopportare che la maga
avesse rimediato alle sue cattive opere. Per dispetto e perché le vacche sono
sempre utili all’inferno, prese le vacche una per una dalle ultime, senza che Pepi
s’accorgesse. Egli, davanti, preso dalla felicità e dal sonno, non vedeva l’ora
d’essere a casa. A momenti non moriva d’infarto quando, albeggiando, potette
vedere che dietro a lui non c’era più una sola mucca.
-“Che scherzo brutto è questo? Ohi, mamma, che grande
disgrazia! Dove sono sparite le mie mucche? Da una mandria non ne è rimasta
nemmeno una! Questa è opera del demonio … che tragedia! Cosa dico a mia moglie?
Per non parlare della maga! Cosa direbbe se sapesse che non mi sono rimaste né
vacche né tori!?”.
Pepi non si dava pace.
Inoltre era terrorizzato temendo il diavolo … aveva
paura che tornasse a tormentarlo.
Ma ancor di più, forse, temeva la scenata di Arega
quando fosse tornato a casa a mani vuote e senza nulla.
La vedeva lì davanti ai suoi occhi … triste e afflitta
e, dopo, furiosa, gridare: “Il mio sangue
sparso in terra, Pepi … cosa facciamo adesso?”.
E non era una bella visione!
Immediatamente tornò
indietro.
Aveva lo sguardo
truce ed era furioso con se stesso per non essersi accorto di nulla. Non poteva
sopportare d’aver perso quel tesoro. Dalla rabbia camminava veloce come il
lampo e parlava in continuazione. Non si era fermato mai, né per mangiare, né
per dormire.
In un battibaleno i giorni erano volati.
Era l’alba del quarto giorno di cammino quando
comparve la torretta apparendo in lontananza. La fata, in alto, l’aveva già
visto arrivare.
Egli sapeva che
la donna valorosa l’aveva già visto.
Infatti gli giunse la voce di lei che risuonava
preoccupata e cristallina come l’acqua, benché ancora lontana.
-“Quali brutte notizie porti?
Dove sono le vacche? Le hai lasciate in paese?”.
Pepi, nell'arrivare, urlava forte raccontandole ciò
che aveva fatto il demonio maligno.
-“Cosa mi
dici! Maledetto sia quel Diavolo! Dovevo immaginare che avrebbe rubato le
mucche per dispetto! Non essere triste Pepi … non è colpa tua! Povera Arega …
cosa starà pensando adesso, non avendoti ancora visto tornare a casa? Poveretta
… è già così spaventata!! Adesso risolvo il problema, stai tranquillo!”.
Immediatamente, la Signora, senza parlare oltre,
infila di nuovo la mano in quel sacchetto; prende un altro pugno di grano; apre
il palmo della mano per farlo velocemente cadere tutto per terra, nella cenere
del falò … e, in un baleno, dal grano escono di nuovo molte mucche e tori, più
di prima.
Veloce la fata prende ogni bestia per le corna
segnandole in mezzo alla fronte cun polvere bianca mista a latte. Il bianco
marchio frontale era a forma di corna di toro e si poteva vedere la lontano con
la luce della luna.
-“Vai in
buon’ora Pepi! Vedrai che adesso quella Bestia non ruba più niente. Vai dritto
al paese senza fermarti mai. Mastica queste foglie che ti toglieranno il sonno
e mangia solo questo per non perdere le forze!”.
Così dicendo la maga
da a Pepi una bisaccia piccola, piena del necessario per tornare a Cabras:
foglie medicamentose con tronchetti sottili, da succhiare quando gli fosse
venuta fame, e un frustino per condurre la mandria.
La luna era alta nel cielo. La luce del grande falò
illuminava grandi spazi fino a parecchio lontano, quasi fino a Mont’e Prama. Da
li Cabras non era molto distante.
Le mucche e i tori si distinguevano uno per uno.
Doveva farsi coraggio.
Detto e fatto.
Pepi da un colpo sul
di dietro della prima bestia affinché conducesse la mandria. Poi, con gli occhi
bene aperti, imbocca la strada del ritorno in paese.
Masticando quelle
foglie, succhiando i tronchetti, guardando tutti i capi e contandoli
continuamente … manco s’era accorto che, lesto come il lampo, era arrivato alle
prime case del paese. Non gli sembrava vero! Quanto aveva fatto in fretta! Roba
da non credere!!! Ihhhhhh … che felicità! Pepi era troppo impaziente!
Entra a Cabras
ridendo e gridando!
Sembrava matto da
legare!!!
-“Aregaaaaaa … Aregaaaaa … esci fuoriiiii!!! Eccolo
tornato tuo marito … padrone di mandria e ricco sfondato!!”.
Arega era già in
piedi e stava in cortile, cercando di raccattare qualche ramoscello per
accendere il fuoco quando si fosse svegliato il bambino.
D’improvviso sente le
forti grida del marito e scaraventa lontano tutto il legname che aveva in mano.
-“Sentite! Pepigheddu mio è tornato! Per l’amore della
Madre sia … che felicità! … Pepiiiii, Pepiiiiii, Pepiiiiiiii … sono qui! Eccola
tua moglie! Porti buone nuove?”.
Pepi, prima l’aveva
sentita urlare poi lei era giunta saltando per la grande contentezza che il
marito era finalmente tornato a casa.
Lui era rimasto sul
battente della porta di casa con le braccia spalancate.
-“Guarda, Arega cosa
ti ho portato! La maga ci ha donato una mandria. Mi ha detto che le faceva
molto piacere regalarcela perché siamo gente felice e dignitosa anche se siamo
poveri.
Tieniti forte Arega
del mio cuore …
Da oggi siamo ricchi!”.
Arega non sapeva più che dire!
Più guardava le vacche e più non poteva credere ai
suoi occhi.
Lacrime scendevano come cascata in dirupo montano,
sulla faccia di Arega. I suoi occhi erano diventati ampi come pozze di acqua
piovana.
-“Felice
è la Madre degli alti cieli! Benedetta sia quella maga buona! E maledetto sia
quel demonio cattivo … Avevo ragione quando sostenevo che quello era nascosto
dietro il canneto e ci malediceva tutti i giorni! Per colpa di quella Bestia
stavamo per morire tutti di fame … noi e il nostro figliolo. Che peccato … ha
perso! Che sia crepato per sempre … La maga lo ha vinto … che peccato!
Hahahahahahahahah!!!
Che resti morto per sempre nella bocca dell’inferno!!!”.
Dopo i baci e gli
abbracci, Pepi con Arega conducono tutti i capi di bestiame al recinto che,
immediatamente, si riempie di nuovo. Essi sembravano cicale, saltando agili
mentre chiudevano il cancello dello steccato.
-“Domani mattina mi alzo presto per fare qualche forma
di ricotta e di formaggio per darlo ai
poveretti. Da oggi non voglio più vedere gente soffrire la fame. Riusciremo a
riavviare l’azienda e vedrai che, se la Madre ci assiste, tornerà la ricchezza
in paese!”.
Detto e fatto!
Grazie alla fata del
Sinis da allora il paese di Cabras è sempre rimasto ricco e libero dai diavoli.
PERA COTTA E PERA
CRUDA …
OGNUNO A CASA SUA …
QUESTO RACCONTO ARRIVATO DA LONTANO … ANCHE SE NON CI CREDI E’ TUTTO VERO!!!
Graziella Pinna Arconte.
SA MRAIARXA 'E SU SINIS - GIULIA, CLASSE V° |
SU NURAXI DE SA MRAIARXA |
Copyright
© Aprile 2012 by Graziella Pinna Arconte, all right reserved.
Nessun commento:
Posta un commento