Il 10 maggio, a Cabras, si è tenuto il Convegno "IN NOME DELLA MADRE - LA VIOLENZA SULLA DONNA DALLA DEA MADRE AL DIO PADRE". La mia relazione, pubblicata dagli atti del convegno circa una settimana fa, ha registrato centinaia di visitatori. Con me hanno animato il convegno altre tre splendide donne: Anna Maria Capraro relatore, Brunella Salis introducer e Lucia Chergia, ancora con Brunella, commoventi interpreti di memorabili brani poetici dal libro "Cuore,di preda".In questa imperdibile relazione Anna Maria Capraro ci presenta, appunto, Cuore di preda.
A VOI, SORELLE D'OGNI DOVE E D'OGNI QUANDO.
L'8 marzo è la giornata della donna, il 25 novembre quella contro la violenza sulle donne, il 6 febbraio contro la pratica delle mutilazioni genitali su donne e bambine, il 14 febbraio inaugura un flash mob planetario come reazione alla violenza su di esse. Sono tutte date che testimoniano lo iato spaventoso tra le esigenze di una società civile e delle sue istituzioni ed una realtà di fatto messa a fuoco dalle più nude statistiche. Nel 2012 ogni due giorni una donna è uccisa dalla violenza maschile, e il 70% dal proprio compagno. Ma se le morti vengono rese note gli stupri, le botte, le sevizie psicologiche, lo stolking nel 90% dei casi rimangono non denunciati.Quanto alle mutilazioni genitali femminili, messe al bando dall'Assemblea generale dell’Onu nel dicembre scorso, continuano regolarmente a perpetrarsi,in tutto il mondo. In un solo anno nel mondo si sono contati 140 milioni di casi, 180.000 in Europa, 35.000 in Italia. Soffermarsi a pensare che secondo l’OMS la violenza è una delle prime cause di morte per le donne dai 25 ai 44 anni, o che nel mondo ne muore una ogni 8 minuti equivale a prendere in considerazione un vero e proprio bollettino di guerra, o quanto meno un mondo fuori asse. Il 27 settembre 2012 a Strasburgo l’Italia ha finalmente firmato la convenzione di Istambul del Consiglio d’Europa, ultimo dei 23 stati che vi hanno aderito riconoscendo la violenza sulle donne, compresa quella domestica, come grave violazione dei diritti umani e sottoponendosi al controllo di una commissione di 10 membri, La Grevio, preposta alla messa in opera del trattato nei paesi firmatari. .. E in questo senso l’Italia ha ancora parecchia strada da fare, se nello scorso giugno a Ginevra la Commissione per i diritti umani dell’Onu, facendo il punto sui ritardi del nostro governo, ammoniva sulle responsabilità di quest'ultimo, ricordando che la violenza di genere è un vero e proprio genocidio nascosto ma soprattutto l’ultimo anello di una colpevole disuguaglianza politica, economica e sociale.. Prevenzione, protezione delle vittime e punizione dei colpevoli sono i ritardi dell’Italia, che contribuiscono al silenzio, a rendere invisibile il fenomeno ed a perpetuare nella nostra società la cultura dell’abuso, d'altronde delegittimata solo negli anni 70. Anni in cui si poteva contare su una presa di coscienza di massa poi lentamente disgregatasi sino all'attuale riflusso.E non ci fa piacere ricordare che nella classifica sulla differenza tra i generi siamo regrediti in un anno dal 74.mo all’80mo posto nel mondo. Ancora inadempienti per quanto riguarda i centri anti-violenza e i luoghi di accoglienza, che rischiano la chiusura, mentre gli omicidi di genere vengono confinati nelle cronaca nera ignorando che sono la conseguenza delle diseguaglianze e discriminazioni politiche e culturali- E’ necessario di certo, insieme ad un vero e proprio programma di governo, un dialogo aperto, che coinvolga le istituzioni ma soprattutto entrambi i sessi. Non bastano le grandi organizzazioni per la difesa dei diritti umani, le ONG e le diverse e pur preziose associazioni. E’ un fenomeno in crescita costante, trasversale e multinazionale, che va combattuto puntando sulla prevenzione e quindi l’educazione. Anche Oristano conosce il fenomeno, con gli allarmanti dati del centro “donna Eleonora.
L’unico modo per trasformare la realtà è conoscerla. Senza presunzione e senza arroganza. Con umiltà e rispetto. Perché se una cosa forse abbiamo imparato in questi anni bui è che qualunque rivoluzione, perché tale davvero sia, deve avvenire dentro ognuno di noi, anche se questa è forse la cosa più difficile da farsi . La rivoluzione cui alludiamo stasera è quella che realizza il rispetto dei diritti e della dignità di ogni essere umano, senza alcuna distinzione. Solo allora questa celebrazione finalmente non avrà più alcuna ragione d’essere. Ma oggi, purtroppo, dobbiamo agitarla come una bandiera, ed impegnarci perché su questo fronte la guardia non si abbassi . Purtroppo l’identificazione potere e malintesa virilità è ancora vivo ed operante. Perché , come circa 2 secoli fa affermava Leopardi, più che le leggi contano i costumi, e secoli di stereotipi faticano ad essere cancellati. Quando Eva Cantarella parla di sessualità predatoria del mondo romano ci chiediamo se le cose da allora siano veramente cambiate, e la prima, immediata reazione non è consolante. Il linguaggio dei media, pubblicità in testa, offre l’immagine di una donna oggetto, soprattutto sottomessa al potere maschile. E’ uno spettacolo mortificante, un copione logoro ma resistente, una storia di potere tenuto saldamente da mani maschili, ma soprattutto di conseguenti dinamiche culturali che parlano di insicurezze e fragilità relazionali, destinate a condizionare pesantemente il livello di libertà e democrazia del nostro paese. Eppure tutto questo ha costi sociali altissimi, e necessita di percorsi terapeutici.Perciò è necessario parlarne, ma con gli uomini, la cui presa di coscienza è necessaria quanto la nostra. Né dobbiamo trascurare il fatto che quanto negli anni 70 sembrava un diritto acquisito, oggi sembra di nuovo essere messo in discussione, come la contraccezione. Servono norme che rispondano ai bisogni reali e proteggano i diritti di tutti..Eppure è ormai accertato che comportamenti e modo di vivere sono determinati non dalla natura ma dalla società, nella quale il sesso cosiddetto debole ha sempre dimostrato una grande forza anche fisica, come , ad esempio, dichiarano gli studi sull’ottocento francese dove le donne operaio si sobbarcavano un’imprevedibile fatica fisica. Ma forse ritroveremmo intatta la nostra forza se interrogassimo la Storia e il ruolo della figura femminile nelle religioni antiche. A partire dalla culla delle civiltà mediterranee, alimentate dal mito della Grande Madre, principio di armonia.. Stasera tra le altre cose presentiamo un libro che ci porta ad interrogarci su questo tema, e che sta unendo praticamente tutta l’Italia con un una rete di presentazioni e dibattiti. Si tratta di un’opera che è un evento politico ed estetico. Politico perchè coniuga etica ed arte, ed estetico in quanto tasta il polso ad una poesia che, se si allontana dagli strumenti tecnici perfetti della generazione di Zanzotto, Raboni, Giudici ed altri, si fa più sperimentale e frantumata ma rimane ricchissima e si immerge in paesaggi e alimentata da un forte impegno politico e civile.Perché abbiamo scelto proprio la poesia, una forma artistica che nell'immaginario collettivo richiama lo sfogo intimistico? perché la vera poesia è testimonianza, perché nessun discorso riesce ad avere l’incisività e la portata di quello poetico, che restituisce ad ogni parola la sua forza evocativa , visionaria e trasfiguratrice e, allargandosi in cerchi concentrici, raccoglie sempre il mondo di chi la legge, o meglio la ascolta, visto che è musica e ritmo . Perché rende universale ogni privato. Perché è il limen, la soglia oltre la quale non si è più solo se stessi. Caproni diceva che il poeta è un minatore, il quale, scavando dentro di sé, trova sempre una zona che è di tutti. La curatrice dell’opera, Loredana Magazzeni, insegnante, pubblicitaria e poeta, che ha al suo attivo il progetto “Patchwork” per unire l’attività di donne che vogliono costruire, attraverso frammenti della propria vita e della propria creatività, arte e bellezza, riflette, nella sua intensa introduzione, sulla poesia quale arma per dire l’indicibile, contro una violenza non adeguatamente combattuta dalla politica e dalle istituzioni.I versi diventano così una sorta di filo di Arianna nei labirinti dell’animo. Non dimentichiamo che Freud amava dire quanto avesse imparato sull'inconscio umano proprio dai poeti.. So che si è discusso sul titolo del libro, che farebbe di ogni donna una preda inchiodandola, con il riferimento al cuore, nel territorio dell’emotivo e del sentimentale. Ma questa è una lettura limitante che può essere usata tendenziosamente. In quale terreno, se non quello dei sentimenti, si può ascrivere la vita? In realtà non ci si può appropriare di un libro così intenso per irrigidirlo tra le maglie di un unico pensiero, né esteticamente sarebbe giusto etichettarlo come“Femminista”, o tra la poesia di genere. Vorrei parafrasare per “Cuore di preda”quanto è stato scritto per la poesia di S: Plath, e cioè che ogni lirica è un evento, non la registrazione di un evento. L’opera raccoglie 85 tra le voci più intense ed interessanti , a livello mondiale, degli ultimi anni.Ed è arricchita dalle immagini di Fabiola Ledda, la quale, utilizzando l’intreccio di molteplici linguaggi artistici, indaga su tematiche di denuncia sociale e porta, in queste pagine, il corpo femminile a raccontare la sua storia attraverso simboli ed allusioni. La generazione delle autrici è talvolta quella di rottura, delle battaglie combattute negli anni 70, ma non mancano quelle nate nel riflusso .Tutte testimoni del proprio tempo. Voci potenti, più alte, più sottili, più roche, che scavano, dialogano, in prima o terza persona, ma che in queste pagine diventano epica comune e condivisa. Se di per sé la poesia aspira all'eliminazione dell’io, qui emerge, prepotente, il noi, un noi che “risposa le parole per farne sassi, echi, miti nuovi, e sceglie le più vere per farle brillare come micce, esplodere, raccontare la verità.”..A volte si utilizzano forme chiuse, codificate, a volte quelle nuove; ora sono distici che hanno la tagliente intensità di un epitaffio, ora parole in libertà ed accostamenti arditi, chiusure ermetiche o aperture quasi didascaliche. E’ un libro caustico, che si oppone alle ipocrisie sociali attraverso l’armonia di voci diverse dunque non solo per età ma anche per stile, formazione ed intenti, offrendoci lo spaccato di una storia trasversale e violenta, insieme intima, storica e sociale Le atmosfere, i ritmi ed i timbri sono naturalmente molto vari,ma sempre si tratta di una poesia corporea, concreta, che non consola e non risparmia, eppure ha un effetto liberatorio perché attraversa le emozioni senza esserne travolta e crea interrogativi e spunti di ricerca sulle ragioni ideologiche, morali e materiali del problema. E’una sorta di romanzo corale, generazionale, di memoriale familiare che racconta una verità scomoda, che parla di una donna anello debole nella catena sociale, di crimini che declinano le contraddizioni pericolose della società e della democrazia .Un album di fotografie che riflette esperienze quotidiane. La mappatura di un problema che porta alla luce un reticolo di questioni irrisolte, perché la condizione femminile è un paradigma che misura il grado di civiltà di un paese. Il contenuto dell’opera è un magma incandescente. Avantesto la cronaca di tutti i giorni, ma anche la storia, la mitologia, la vita in sé.Un susseguirsi di sensazioni, un vortice di emozioni che si misura con problemi di vasta portata, quale l’impatto della violenza sullo sviluppo della personalità, le ideologie che l’alimentano, le forze che operano a livello inconscio. Gioco di specchi in cui riflettere una parte di noi., porte spalancate sulla nostra storia. Fotogrammi di quotidianità, percorsi duri che passano attraverso scelte complesse ma indispensabili, come la scoperta del proprio sé e il superamento delle convenzioni sociali. Perché la poesia illumina l’animo umano, conosce gli abissi della degradazione creata dalla paura, i meccanismi che rendono le vittime dipendenti ed annichilite al punto di sentirsi rassicurate dal dominio. Stiamo attenti a non stigmatizzare, è troppo facile parlare dall'esterno. Si urla contro il processo di vittimizzazione ,giustissimo, ma le donne cresciute nella violenza sono vasi di cristallo, che necessitano di lunghi percorsi terapeutici per uscire dallo stato di vittime Le tragedie sono spesso intime, di coppia, o familiari,e avvengono tra lacerazioni, prese di coscienza, rabbia e malessere. Gli approcci al problema sono diversi, ma le parole chiave le stesse. Dolore innanzitutto. Con la percezione della sua persistenza, il suo essere carnale anche quando si annida nell'anima, dove vive la sua dimensione più persistente e distruttiva. Si dice, per inciso, che il 17% delle vittime di stupro mostri tendenze suicide. E corpo. Corpi vilipesi, devastati, macellati, ridotti a piazze di mercato, corpi che trattengono il dolore nella carne cercando invano di chiudergli le porte dell’anima.. E ancora, corpi che attendono solo di sbocciare per scrivere la primavera ma cadono sotto i colpi come rami tagliati di pesco, o sono condannati a stare in crisalidi squamose senza librare le proprie ali. E terrore, come pietra in gola, come giocare a dadi con la morte. Come negarsi ai luoghi più comuni, una siepe in ombra, un sentiero nascosto. E violenza, grumo e sasso in un cielo dove magari si era cercato di volare. E infine, una parola mai pronunciata ma che costituisce il filo rosso che attraversa il libro: Potere, quello che, vacillante di fronte a una donna divenuta soggetto, e derivante da una angosciante fragilità relazionale degli uomini, li porta a regressioni tribali. Ma non è vero che manca la rabbia delle donne, è presente anche nella sua positiva trasformazione. Nell’atto di fede per cui il suono delle parole si fa luce”, e sottolinea un’”eredità femminile che nutre la forza e si propaga tra le generazioni per rompere il silenzio”.La forza di un no, “Un Basta al dolore che si impasta con farina ed acqua e sarà cibo che nutrirà le proprie figlie”. E i figli maschi, , che sono qui incarnati in un piccolo Nicolò ancora in bilico tra l’uguaglianza che gli viene da dentro e ciò che l’esterno gli vuole insegnare. Perché dai rosati infanti non crescano come stupratori che non sanno “dialogamare”. Il verbo è un ardito neologismo, ma rende l’idea. E c’è anche la vendetta che trasforma i ruoli in un gioco di scambi, o la reazione lenta e determinata di chi prende le proprie scarpe e si allontana. C’è chi rallenta il passo, raccoglie la catena e sceglie di proseguire, chi cerca la gioia con “la sua scia luminosa distillata dal fondo delle notti,” e L’inarrestabile forza delle donne lupo, non addomesticabili, che mantengono intatte le proprie forze vitali..Da subito, dalla prima pagina, l’impatto con un dramma che non fa più notizia perché filtrato e reso innocuo dalla bolla mediatica che addormenta le coscienze mentre dagli armadi aperti solo ogni tanto si intravedono scheletri nascosti. Ma subito l’io diventa noi, non importa se scrive in prima o terza persona. Nessuna storia è dimenticata, nessuna vittima. Chi ha consegnato il proprio nome alle cronache e chi alla storia. Figure mitiche come Filomela, cui era stata strappata la lingua per non denunciare, epiche come Tina Modotti, la fotografa che ha fatto dell’arte uno strumento di denuncia sociale o come Nadia Ajuman, poetessa afgana uccisa per la vergogna di aver parlato, nei suoi versi, della condizione femminile del suo paese. O Susanna Chavez e le 350 donne di C. del Messico di cui denunciava la scomparsa. Delicate parole per vittime sconosciute e per chi, dopo, si suicida, per prostitute cadute in quelle stesse strade su cui avevano sognato di trovare la libertà, spose, figlie e sorelle di orchi domestici, “donne anfora “dell’africa che mangiano violenza come pane,donne nere che ci fanno vergognare dell’essere bianchi, donne islamiche cadute sotto i colpi di un padre che le voleva pure, come le Urì del paradiso islamico. E che dire delle bimbe cinesi cui l’aborto selettivo impedisce di nascere?L’ordinaria quotidianità del male insieme agli stupri etnici ed ai bordelli di guerra. Niente è taciuto. I luoghi sono i più diversi, per una scenografia essenziale che accomuna trasversalmente tutte le terre. Quelle di civiltà antiche con una realtà odierna tormentata da integralismi e conflitti etnici, quelle più giovani con gli spettri di recenti dittature . Ambientazioni squallide di periferia, metropolitane in cui un muro diventa conca in cui morire anche se si resta in vita, capanne africane o confortevoli interni borghesi. E l’orrore dell’Esma, la sala argentina in cui le madri partorivano figli destinati ai propri torturatori. E ancora la famigerata villa Grimaldi, luogo di torture nel Cile di Pinochet. Quando invece la violenza è nascosta si insinua lenta, sottopelle, come una colpa, e rende incapaci di distinguere l’odio dall'amore ci ostina al dolore, alla vergogna che impedisce di chiedere aiuto, all'abitudine a staccare la spina dei desideri, ma può regalarci anche la consapevolezza dei nostri no. Una costante il contrasto tra la leggerezza di cuori che volevano solo gioia e vita e la pesantezza di corpi imputati.Corpi del reato, come dice un 8 marzo in cui la protesta ha per unica bandiera lo sventolio di gonne fiorite. Sono poesie che raccontano attimi terribili ma anche dinamiche diverse di confronto ed aggregazione. Perché la violenza è un fatto culturale. Creato dall'essere umano, e che dunque da esso può essere vinto. E per uomo si intendono genericamente entrambi i sessi. In un vuoto desolante dove una generazione straordinaria di donne impiega le proprie energie per rispondere ad aspettative che ancora si rifanno al mito della perfezione. Brave a tutti costi. Ricordiamoci invece che siamo solo esseri umani, con pregi e fragilità, e che meritiamo in ogni caso il rispetto che ad ogni essere umano è dovuto. Senza distinzioni, come dice anche la nostra costituzione.
Anna Maria Capraro
Gigi Sanna
RispondiEliminaHo letto la relazione. Che dire? 'Esaustiva', con una bruttissima parola. E brillante. Un'altra perla a cui manca la emozione della parola detta e quasi cantata. Dovevo esserci per provarla ma non c'ero.
Gigi Sanna
Siete due 'dure' ma tenerissime nello stesso tempo.
Gigi Sanna
Fossero così gli uomini che nascondono e uccidono la parte migliore di sé. Quando fanno violenza la fanno sempre due volte.