sabato 5 gennaio 2013

UN PRINCIPE CHIAMATO MARCO ARCONTE: MIO FIGLIO.


Marco Arconte, mio figlio, oggi compie 27 anni. L'unione sarda, appena due giorni fa, gli ha dedicato un bell'articolo sulla sua bellissima storia di giovane che è saputo arrivare, con le sue sole risorse e per i suoi meriti, al top della carriera a New York.
Sull'onda dell'emozione e della commozione posto questa bella riflessione di Nino, Antonino Arconte, mio marito e suo padre.

                La vera storia dell'emigrazione italiana.

L'Italia terra storica di emigranti?
Assolutamente no, per tutta la sua lunga storia, la penisola italiana è stata oggetto d'immigrazione di popoli e singoli individui. Dalla Grecia arrivarono i poli del meridione che fondarono colonie e città stato di elevata cultura e civiltà in quella che passò alla storia come Magna Grecia. Grande Grecia perché riuscì a emulare e superare la civiltà della stessa madre patria.
Le città greche della Sicilia con Siracusa in testa, di Neapolis e Capua, Pompei e quelle calabresi e pugliesi, guidate da Taranto, competevano per la leadership del mondo ellenico con Atene, Sparta, Tebe e partecipavano, facendosi onore, alle Olimpiadi del tempo.
Terra di immigrazione, dunque, il nostro Sud e non di emigrazione.
Il settentrione non era da meno. I Celti Lenoni avevano varcato le Alpi e occupavano le terre che oggi si chiamano valle padana, l'Emilia, la Romagna e fino ai confini dei regni etruschi, dell'Umbria, Toscana e Lazio. Anche loro costruirono le loro città e furono fieri nemici di Roma, che li chiamava Galli e li combatté fieramente, fino a che accettarono di buon grado la cittadinanza romana per avere i benefici offerti da Roma: strade sicure per i commerci, acquedotti, protezione e sicurezza dai nemici esterni. Lo stesso vale per i Liguri, tribù celtica che occupava l'attuale Liguria che ne ha ereditato il nome.
La storia insegna che nemmeno nei secoli medievali, successivi alla caduta dell'Impero Romano, l'Italia ha cessato di essere terra d'immigrazione di popoli provenienti dal Nord Europa, o dalle terre selvagge dell'Est. Le condizioni di vita nella penisola, sia pure molto decadute dopo la fine di Roma, offrivano ai poli barbari in migrazione, comunque, più di quanto quei popoli riuscivano a ottenere dalle steppe e dalle foreste europee.
Anche durante il rinascimento, i comuni e le signorie italiane, erano oggetto di immigrazione e non viceversa. Fiorentini erano i maggiori produttori ed esportatori di stoffe pregiate e veneziani e genovesi, pisani e amalfitani i dominatori delle rotte commerciali.
Lombardi erano i migliori banchieri del tempo, in grado di fornire prestiti anche ai sovrani d'Europa e pretenderne il pagamento alle scadenze.  
Dunque, quando l'Italia si è trasformata in un paese disperato e oggetto di migrazioni bibliche da parte dei popoli che l'abitavano da secoli e millenni?
Non certo nel tempo dei piccoli stati in cui era divisa prima dell'unità.
Le migrazioni cominciarono proprio con l'unità d'Italia.
L'Italia unificata sotto le insegne dei Savoia é l'origine di tutti i mali che portarono con se la fuga dalla realtà di squallore e degrado in cui era precipitata.
Questo perché non fu vera unità, ma dominazione piemontese del resto della penisola che fu trattata ne più ne meno di come le potenze europee del tempo trattavano le colonie africane ed asiatiche. Stragi, saccheggi, torture ed esecuzioni sommarie caratterizzarono quel periodo e furono origine dell'impoverimento della popolazione italiana, costringendola alla ricerca di speranza oltre mare. Milioni d'italiani presero la via del Nord e Sud America, costruendo comunità italiane che si sono fatte apprezzare e valere in tutto il mondo, non perdendo mai la nostalgia e l'amore per la patria d'origine.
Milioni di italiani, ammassati nelle stive di vecchi mercantili, approdavano a New York, a Buenos Aires, in Brasile. Perlopiù si trattava di contadini senza terra … ma perché erano diventati dei senza terra? La risposta è semplice, perché i latifondisti dominavano la penisola e trattavano come schiavi i contadini, costringendoli a turni di lavoro durissimi e malpagati, spesso riconoscendo solo il magro vitto e l'alloggio nelle stalle. Come evitare la fuga sa una situazione simile?
Il Fascismo, con Mussolini, cercò di fermare questa emorragia continua conquistando un Impero coloniale in Africa,  dove dirigere l'emigrazione italiana, costruendo villaggi e fattorie da assegnare alle famiglie contadine. Questo fermò l'emorragia, ma solo momentaneamente. Con la sconfitta bellica e il crollo dell'Impero, l'emigrazione riprese e riprese anche verso l'alleata sconfitta e distrutta dalla guerra, la Germania. C'era bisogno di braccia per le miniere e per le fabbriche e gli italiani  era quanto di meglio si poteva trovare. Si adattavano a turni massacranti e a vivere nella baracche. In più, legati alla terra d'origine mandavano le rimesse alle famiglie e questa fu una ricchezza per tutta l'Italia ma … in patria, per non smentirsi, c'era chi ne approfittava per costruirsi privilegi e appannaggi sul sangue degli emigranti.
Poi ci fu il boom economico degli anni sessanta e l'emigrazione fu dirottata verso le città industriali dell' Italia settentrionale. Soprattutto verso Torino e Milano. Si aprirono scuole professionali per qualificare i lavoratori e i figli degli operai ebbero accesso all'istruzione e furono medici, ingegneri, ricercatori e liberi professionisti in ogni campo delle scienze.
Ma durò poco. In breve, infatti, il malcostume s'impadronì del progresso, del Boom economico e non ci fu più posto per il merito. I posti chiave della nazione furono occupati dal demerito e la solita politica nazionale della raccomandazione riempì le istituzioni statuali di veri idioti, capaci solo di creare inefficienza e disservizi. Decenni di tale lavorio continuo hanno fatto sì che i giovani italiani di talento, dovessero riprendere la valigia ed emigrare in cerca di fortuna.
Mentre i nostri migliori cervelli trovavano occasioni di farsi valere in Inghilterra, Francia, Germania e, soprattutto, negli Stati Uniti, in Italia l'opera di degrado messa in atto dalle caste di privilegiati che si erano impadronite del potere, con una sciagurata alleanza tra poteri politici e mafiosi  ai quali non era estraneo neanche il clero, procedevano con la distruzione delle istituzioni nazionali.
Oggi non fa più notizia che una causa civile per ottenere il rispetto di diritti, contratti di lavoro, pagamenti vari, arriva a durare anche vent'anni e a poco valgono le sentenze di condanna della Corte Europea per il diniego di giustizia. Chi è al potere se ne frega. Anzi, sono proprio loro gli artefici del malfunzionamento della giustizia e come dargli torto? Se la giustizia funzionasse, proprio loro sarebbero arrestati e assicurati alle patrie galere.
Impegnati come sono a disperdere le risorse nazionali tra appalti truccati e ruberie e a far lievitare il debito pubblico fino alle cifre iperboliche di duemila miliardi di euro, non hanno tempo per occuparsi d'altro e, a dire il vero, perché dovrebbero? Stanno così bene!
 Sarebbe come pretendere che i grassi topi nella dispensa, smettessero di divorare risorse per evitare il fallimento del paese. Sapete quanto gliene frega? Meno di niente.
Il popolo, solo il popolo, potrebbe porre rimedio a tutto questo, ma può farlo? Purtroppo questo continua a essere il popolo più ignorante e corrotto del mondo occidentale. Non è in grado di governarsi attraverso libere elezioni, ad ogni elezione si fa convincere da slogan privi di alcun fondamento, pronunciati dagli stessi politicanti inattendibili e screditati di sempre e si meraviglia, ma come fa, della fine che ha fatto e sta continuando a fare la ex Italia.
Per questo sono felice di essere riuscito a indicare a mio figlio Marco, la giusta via per il suo futuro, l'emigrazione. Un'emigrazione per scelta consapevole e non per fuga.
Una scelta maturata nella consapevolezza di avere talenti che in Italia non avrebbe potuto far valere, anzi, vedendoli umiliati dai soliti raccomandati che "per titoli" gli sarebbero passati davanti.
Esattamente quello che succede ai tanti ricercatori che, scartati dalle università italiane, cercano fortuna all'estero e la trovano, guidando team di ricerca scientifica con risultati eccezionali. Da poco la notizia di un ragazzo italiano che ha avuto un importante riconoscimento, equivalente al Nobel per l'informatica, per un software sviluppato da lui, in Inghilterra. Gli è stato chiesto perché ha portato avanti le sue ricerche in Inghilterra, anziché in Italia e la risposta, davvero triste, ma sincera è stata: "Io avevo fatto richiesta in diverse università, ma non mi hanno accettato".   
Esattamente quello che sarebbe accaduto anche a mio figlio se non l'avessimo indirizzato all'estero anche per gli studi. Studi effettuati tra Inghilterra e Svizzera, che gli hanno permesso di trovare subito, nel luglio 2010, un buon lavoro a New York, manager per un anno al Sofitel di New York, il Grand Hotel di Manhattan. Subito dopo chiamato dal Cipriani di Gran Station, il ristorante più famoso della grande mela, come executive manager e, dopo un altro anno, chiamato a dirigere da General Manager il Brynwood Golf Country Club di New York.
Una carriera fulminea, incredibile a dirsi, ma vera. Perché questa è l'America, la terra delle opportunità, dove ognuno può sperare di far valere i suoi talenti. Marco l'ha potuto fare ma … e se fosse rimasto in Italia? Non c'è motivo per dubitare che, se avesse studiato in un'università italiana, gestita da rettori di nomina politica e professori, titolati quanto stupidi (non tutti, certo, ma buona parte), una volta acquisito il suo titolo di laurea avrebbe potuto aspirare a un posto da cameriere in pizzeria, in attesa di vincere qualche concorso truccato per uno di quei posti umilianti di ogni merito in cui sono ridotti i giovani italiani. Naturalmente, chiedendo ai genitori aiuto per il sostentamento e per i costi delle partecipazioni ai concorsi in libri e ripetizioni inutili!
Non basta ancora! Chi è chiamato a dirigere da tecnico la salvezza della patria in procinto di default? Uno di quei rettori universitari che, peraltro, nel suo curriculum vitae, ha solo incarichi che, senza l'appoggio delle bande politiche, non avrebbe mai potuto ottenere.
Lo stesso dicasi dei cosiddetti tecnici, tutti professori titolati che occupano a loro volta incarichi dello stesso tipo. Eppure, senza vergogna, si dichiarano tecnici e apolitici. Tecnici che, come perfetti politicanti, si sono accreditati di appannaggi da satrapie di lontana memoria e pensioni principesche che, spesso, assumono assieme a stipendi di vario genere e provenienza.
Tutto legale, ma ciò non toglie che si tratta di ruberie legalizzate e questo non ne fa qualcosa di diverso da un furto ai danni del popolo.
Può il popolo liberarsi di tutti questi parassiti? Sì, potrebbe, ma non può farlo, gliene manca il coraggio e la volontà, perché è da sempre suddito e non ancora cittadino!
Per questo, purtroppo, pur essendo da anni, ormai quasi venti, impegnato a denunciare questi frutti del Colpo di Stato perfettamente riuscito del marzo 1978, con il libro L'Ultima Missione, ho consigliato la via dell'espatrio a mio figlio e devo continuare, allo stato attuale delle cose, a consigliare la stessa cosa ai giovani italiani.
Questo in allegato è un articolo di stampa che da notizia della brillantissima carriera di Marco Arconte, mio figlio, che ha appena compiuto a New York i suoi primi ventisette anni.
In finale, a cosa fu ed è dovuta l'emigrazione italiana?
Alla corruzione, al degrado morale e istituzionale, all'ignoranza e alla codardia di un intero popolo che non trova il coraggio di ribellarsi ai suoi tiranni!

Marco: giovane manager alla guida di un resort USA

Ecco Marco al lavoro.

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