Dedicato a tutte le madri che lottano e ai loro figli nati in nome della Madre.
Dedicato a tutte le bambine mutilate, violentate, prostituite, date in sposa dai cinque anni.
CHE MAAT TORNI PRESTO A OCCUPARE IL POSTO DEL GIUSTO.
ATTI DEL CONVEGNO "IN NOME DELLA MADRE - LA VIOLENZA SULLE DONNE DAL MONDO ANCESTRALE A OGGI."
RELAZIONE DI GRAZIELLA PINNA ARCONTE
GLI ARCHETIPI
FEMMINILI DAL MONDO ANCESTRALE A OGGI
DALLA DEA MADRE AL DIO PADRE
Mi è sempre
piaciuto il patchwork.
Questa di
realizzare una coperta patchwork è l’operazione che mi accingo a compiere ora:
molti quadri, ciascuno narrante una storia, vengono cuciti insieme. Unendo
tantissime storie si forma una macro storia dall'anima ben chiara: lo spirito
della Dea Madre.
Non è, e non
vuole questa essere, una storia di genere, cioè non è una storia che reca in
seno esclusione, settarismo, sessismo o ideologismi di genere.
E’ la storia
di un viaggio: quello che noi donne abbiamo compiuto dalla notte dei tempi; dal
cruento cambio di staffetta dalla Dea Madre al Dio Padre; nell'osservazione del
contesto, delle cause e, soprattutto, delle differenze tra un potere e l’altro,
il primo a servizio di Maat, l’Armonia della Natura e il secondo al servizio
dell’Uomo.
Nella
dicotomia ora enunciata risiede il vizio di forma che ha condotto l’umanità
sulla soglia dell’attuale rovina.
La vita
degli antichi Padri e Madri, perfettamente inscritta in un contesto d'armonia e
rispetto per la natura, veniva significativamente sottolineata dai numerosi
riti di cui ancora oggi la Sardegna è ricchissima, efficaci e innegabili
testimoni del gusto metaforico e divergente, dunque molto evoluto da un punto
di vista filosofico e dell'inconscio collettivo, del popolo sardo fin dalla
notte dei tempi. Ritualità metaforica che oggi viene vissuta secondo
i parametri della religione cattolica, non tenendo più
conto, poiché storicamente scientemente rimosso, dell'atto che
l'attuale culto compì a suo tempo nel volersi sovrapporre sincreticamente ai
riti preesistenti, non avendo i sardi mai voluto rinunciare, nonostante
la sistematica distruzione dei lori templi, all'ancestrale ritualità
cosiddetta pagana.
In Sardegna, dalla notte dei tempi
fino a oltre il neolitico, la sfera del sacro o della ritualità funeraria è
rappresentata in netta preponderanza dal culto della Dea Madre, come dimostra
l’incredibile quantità di statuine ritrovate che rappresentano, appunto, la Dea
(94,7%). Il culto della Dea, che accomuna la nostra isola alla cultura europea
e alla cultura orientale ci dice chiaramente che la Madre era, dal Paleolitico,
la divinità principale perché l’unica a possedere tutti i segreti per generare
la vita sul pianeta e in tutti gli esseri in esso viventi.
Questo fu l’inizio ed è il quadro
numero uno della mia coperta patchwork: la
Dea Madre.
Cercare sue notizie è la via più
efficace e sicura per trovare ogni spiegazione relativa alla nostra vera
identità storica. Ognuno, ma soprattutto ogni donna, dovrebbe percorrere questo
viaggio verso sé poiché solo guardando con occhi limpidi attraverso il passato
ancestrale possiamo VEDERE il nostro io più occulto e profondo.
Vediamo di ricamare il primo riquadro.
Possiamo ipotizzare ragionevolmente
che quando ancora non vi era consapevolezza circa i nessi tra il concepimento e
la nascita, alla donna veniva riconosciuto un potere che l’uomo non possedeva:
al suo ciclo mestruale corrispondevano le ciclicità della natura in tutte le
sue forme (mensili, stagionali, lunari, cosmiche); all'arresto di questo
corrispondeva la nascita del nuovo essere, generato apparentemente dal nulla,
per partenogenesi, allattato e nutrito, poi consolato in vita e accolto in
morte dalle amorevoli braccia della Madre, come dimostrano gli scheletri di
defunti ritrovati anche nella necropoli di Cuccuru is Arrius, del neolitico
medio della cultura di Bonu Ighinu, nel ventre di Madre Terra, accovacciati e
cosparsi di ocra rossa, a simboleggiare il sangue della rinascita.
Col defunto spesso sono stati
rinvenuti reperti del corredo funebre tra i quali, immancabile, una statuina della
Dea Madre.
In tale contesto il maschio sembrava
non avere alcun ruolo nell’atto riproduttivo, pertanto la donna assumeva un
ruolo divino dal quale egli fu per molto tempo escluso.
Gli studi di Marija Gimbutas ci
prendono per mano e ci conducono con sapiente originalità e nitida visione a
ripercorrere un viaggio di almeno 30.000 anni durante il quale vediamo la
rappresentazione della Dea che per millenni venne raffigurata in una sola
forma, quella della cosiddetta venere
gravida, scolpita nella pietra e nell'osso e spesso dotata di forme
allusive a vari animali (giumenta, mucca, orsa, cervo, daino) a simboleggiare ch'ella è Madre di tutti gli esseri viventi (ancora la mucca è sacra in India
poiché incarnazione della Dea). Ella presiede tutti gli elementi, soprattutto
l’acqua generatrice di vita che viene spesso rappresentata con motivi a ondine
più o meno acute negli angoli grafici.
QUADRO
N° 1
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La Madre che da la vita e nutre viene rappresentata con forme morbide e generose per l’intero paleolitico fino al neolitico. Ella è UNA, causa eccelsa da cui TUTTO E’ ineluttabilmente, nei secoli dei secoli, nei millenni sempre uguale.
VENERE DI WILLENDORF - AUSTRIA |
Della Madre
abbiamo il racconto che ci rendono migliaia di statuine sacre, dalle quali noi
capiamo che Ella E’ e non ha bisogno di atti per spiegare se stessa. Ella è a prescindere. Dunque è chiaro
dedurre che la filosofia dell’Essere fine a se stessa ha caratterizzato per
millenni intere generazioni che, al femminile, da madre in figlia, hanno
vissuto da dee, secondo tale visione della vita e della sua sacralità.
Venere di Macomer |
QUADRO
N° 2:
E la
Dea con le sue amorevoli connessioni era eterna testimone di vita, cambiando
solo forma quando la vita diveniva morte del corpo, ma nuova rinascita e
trasformazione verso la nuova dimensione ultraterrena. Per millenni noi, che
ora, a causa dei retaggi della religione sovrana, abbiamo rimosso totalmente la
capacità di accettazione della morte
come facente parte del ciclo vitale, abbiamo concepito la vita in maniera
naturale, armoniosa priva di traumi da trapasso. Al contrario, la Madre ci
parlava della morte intesa come accoglienza e rinascita, necessaria alla
rigenerazione dell’anima.
E vediamo, dunque, attraverso queste meravigliose statuine
prodotto di una perfetta sintesi metaforica e artistica, come proprio qui, in
occidente, nacque lo spirito senza soluzione di continuità della vita
dell’Essere Umano, concepito dalla Dea a sua immagine e somiglianza: nato dalla
sacra vulva triangolare della Dea e a essa tornato, tra le sue amorevoli
braccia. Una visone bella e altamente consolatoria della vita: l’esatto opposto
di ciò che viviamo oggi, avendo paura della morte e di quel che potrebbe venire
dopo. La Dea Madre che rappresenta la morte assume connotati esili e triangolari:
perfetta sintesi della natura trina della divinità.
Venere della morte di Cuccuru is Arrius dalla posizione rigida |
Ed ecco il terzo quadro prendere forma.
La Terra era permeata da tale Anima
Immanente ed Emanante, da nessuno messa in discussione, garante del
sostentamento di tutti i figli, la vacca celeste, mucca sacra Hator in Egitto e
Toro in Sardegna.
Hator divinità del cielo
Amore, gioia, vino, ballo,
Mucca celeste da cui è nata la via lattea con i suoi
fluidi vitali.
E ora il quarto quadro:
La Dea cambia forma … anzi, forme: quella generosa
diventa sintesi del divino fino a diventare Madre con figlia, poi figlio tra le
braccia. Storia delle meraviglie dalla Dea Madre in Sardegna, a Iside in Egitto, alla nostra Madonna con
bambino.
QUADRO 5:
Col passare dei millenni, dunque, nel neolitico l’immagine della Dea, si modifica a causa
delle trasformazioni sociali: l’organizzazione più complessa ingenera sovente devastanti
conflitti armati, laddove si impone prepotentemente la brutalità del dominio maschile.
La morte, pertanto, non viene più vissuta come fenomeno naturale, ma
come ingiustizia inferta dall'aggressione violenta di crudeli sopraffattori.
Il genere umano è chiamato ad affrontare una delle prove più complesse dell’evoluzione
del pensiero: il confronto con la morte e la ricerca di un perché alle nuove domande che
si impongono rispetto al senso della vita e al suo scopo. L’Umanità compie un grande
salto nel vuoto evolutivo e il pensiero della morte diviene una sorta di ossessione per i
secoli dei secoli fino a oggi. Tuttavia la Dea ancora resisteva e il culto, vissuto e ancora
testimoniato, pur restando nel mondo dell’Essenza Spirituale e dell’Anima Mundi,
permeò anche le azioni del quotidiano esistere attraverso la ritualità perpetrata dalle
sacerdotesse janas.
Si implementano le arti artigiane e la lavorazione di preziosi manufatti.
Lo sviluppo dell’agricoltura suggerisce miti e riti che fanno riferimento al sottosuolo,
custode di vita e da cui la nuova vita germoglia e prende forma. La divinità è nascosta e la
Dea è concepita secondo una nuova visione che passa per tutte le culture nei secoli, fino ad
arrivare all'attuale rito della morte e della risurrezione impostasi in Sardegna, per esempio quello de Su Nenniri, completamente gestito da donne che lo portavano in processione fino a scagliarlo da un’alta
rupe, in simulazione d’ogni atto relativo alla vita e alla morte e all'esorcismo della paura del
buio e del superamento delle difficoltà, gettando via il malocchio dalla rupe, preferibilmente
a mare come segno di ulteriore rinascita nell'acqua.
QUADRO 6:
La vita che ciclicamente si rinnova impone
il rispetto tra equilibri e la Madre, ancora, la fa da padrona poiché,
generando il figlio chiama l’umanità all'armonia nelle relazioni.
Le società si strutturano in maniera
più complessa e organizzata in polis e si danno
un governante. La società sarda e quella egiziana sono chiamate al rispetto
delle norme di Maat attraverso la figura di re/faraoni che con saggezza
governano i popoli.
In embrione, nella nostra società, è
già intuibile la morte della Dea, che viene progressivamente soverchiata dalla
dominazione dell’uomo con nefasti atti di guerre per la prevaricazione di
popoli su altri popoli. Nasce il primo mito babilonese secondo il quale la Terra
fu creata dal Dio Onnipotente Bel-Marduk il quale, nei racconti dell'Enuma Elish, squartò il corpo della Dea Madre riducendolo in mille
brandelli.
Miti e leggende si incrociano in un
confuso, quanto ricchissimo calderone di surrogati della divinità e la figura
della Madre viene agglutinata e associata a nuove figure che progressivamente
sconvolgono i riti originali, ma il mito di Bel-Marduk è molto importante
poiché codeste furono le modalità utilizzate nei secoli per mettere a morte le
donne libere dei paesi del Dio Padre.
Nonostante la morte sia
sempre più spesso un atto puramente brutale, l’esigenza primaria è quella di
salvaguardare i riti perlomeno con la sepoltura, così come si evince dalle
meravigliose sepolture visibili in Sardegna, in Egitto e in tutto il
Mediterraneo.
E, ancora, la Dea, accompagna il
defunto nella vita oltre la vita.
La Dea Generatrice non
è mai morta del tutto: rimane in occidente attraverso le varie dee
dell’abbondanza, fecondità, amore che hanno caratterizzato tutte le società
storiche nell'area mediterranea, da Demetra alla sumera Inhanna, alla babilonese Ishtar, alla greca Afrodite,
alla equivalente romana
Venere.
Il
patriarcato prese definitivamente forma anche attraverso la metafora del Bucranio,
la figura del toro, che da archetipo e inconscio collettivo di rigenerazione
femminile rappresentante l’apparato uterino anche in architettura, divenne,
nelle culture maschili indoeuropee, il toro dio del tuono.
QUADRO 7:
L'illuminato
parroco di Silanus, don Giovanni Chirra, nella prima conferenza "Orminas
de sos mannos" durante la lectio magistralis del 3 ottobre 2008
sostenne senza tante parafrasi che la nostra civiltà nuragica fu, con quella
egizia, la civiltà più alta ed evoluta e la Sardegna snodo centrale dei
traffici economici e culturali per oltre mille anni. Interessante il passaggio
dove il don, testualmente, diceva: " Cartaginesi e Romani nulla
hanno apportato ... hanno fatto solo disastri ..." "...Per non
parlare dell'imposizione della religione cristiana e dello scellerato
intervento di papa Gregorio Magno contro gli adoratori animaleschi di pietre e
legni dipinti ..." In tale dissertazione il parroco sostenne
senza ombra di dubbio che la religione in Sardegna era sostanzialmente monosteista,
dove resistevano ai successivi inserti fallocentrici, retaggi fortemente femminili dal
neolitico. Tali caratteristiche convivevano armonicamente nel culto,
tali da far pensare all'unione del femminino e del mascolino in un'unica
divinità. E', dunque in Sardegna, prima che in altro luogo,
che attecchì il culto dell'unico Dio; culto successivamente introdotto
in Egitto da Akenathon.
Dice prof. Gigi Sanna, in una
dissertazione di epigrafia sul blog Monte Prama: “… Il toro è simbolo della
bipenne perché è da riferirsi al 'doppio' e cioè allo schema MF o FM del Dio
(all'androginia insomma). Osserviamo come è fatta la bipenne, con due 'penne' o
parti diverse. Il 'toro' non è solo il padre (maschio) ma anche la madre. Dire
Padre in semitico cioè 'AB(A) vuol dire dire 'casa' (beth) del 'Toro' (
'aleph). Il toro che dà la vita non può essere se non padre e madre assieme.
Ecco perché a Gremanu di Fonni c'è il fallo enorme (toro) e più avanti la vulva
enorme (toro). Entrambi come 'bipenne' costituiscono il toro celeste,
la potenza generante della Divinità androgina. La bipenne naturalmente assurge
a simbolo oltre che di potenza creativa di potenza distruttiva. La divinità che
dà la vita ma che dà anche la morte. Nel caso del menhir è evidente l'ambiguità
del segno. La lastra tombale riporta nello stesso tempo il simbolo del
negativo, della morte ( che è avvenuta) ma anche il simbolo del positivo, della
rinascita (che è già in atto per opera del 'Aba) ... La divinità yh androgina
taurina con culto bipenne parla di quella divinità. Ma anche i nuraghi sono
espressione della stessa divinità, così come le Tombe di Giganti e i Pozzi
sacri. Il territorio potrebbe essere quindi il 'focus' da cui è partita
la civiltà dei costruttori dei nuraghi. Sostengo che la costruzione dei tre
'monumenti' non sia altro che lo sviluppo, in termini architettonici, dei tre
grandi segni del 'Menhirs': fallo -nuraghe, toro alato -tomba di giganti ,
bipenne -pozzo sacro. Ma ci vogliono le prove epigrafiche ed archeologiche che
vengano studiate assieme. Cosa che purtroppo non si fa. La prova epigrafica può
contare (i menhirs sono scritti e con un ben preciso tipo di scrittura
pittografica e numerologica a 'rebus') ma non da sola …”.
Questo è il concetto
focale: in Sardegna il retaggio fortemente femminile della divinità durò per
millenni. E che la ritualità venisse progressivamente concepita secondo una visione androgina, contenitore contemporaneamente del femminino e del mascolino, lo dimostrano gli innumerevoli testimoni architettonici recanti sempre la dualità in perfetta simbiosi.
SANTUARIO GREMANU DI
FONNI
|
QUADRO 8:
L’archetipo
femminile e androgino è, in Sardegna, straordinariamente esemplificato nelle
straordinarie strutture architettoniche tridimensionali e, generalmente, luoghi
di culto come, ad esempio, i pozzi sacri. Straordinariamente conservato e molto
conosciuto è il sito di Santa Cristina di Paulilatino, in provincia di
Oristano. La forma trapezoidale convoglia il visitatore a percorrere una scala
perfettamente scolpita e levigata che induce al centro del ventre della Madre
verso l’acqua medica e sacra. Il complesso è
allineato con la luna e così, ogni 18 anni e mezzo la luce lunare va a
riflettersi nell'acqua contenuta in seno alla struttura attraverso un foro. Ho
vissuto tale esperienza solstiziale due volte nella mia vita e devo dire che
vivere tale emozione è ancor oggi fortemente toccante e rigenerante, così come
negli intenti delle Madri dell’Acqua Sacra era il rito della rigenerazione. La forma del pozzo riproduce nel dettaglio l’anatomia
dell’organo sessuale femminile con circolari grandi labbra esterne, piccole
labbra interne a forma di chiave, la vagina, l’uretra e il clitoride, a
dimostrazione che la cultura cosiddetta “pagana” dava grande importanza alla
sessualità e all'orgasmo femminile, secondo una cultura congrua a quella
tantrico- induista dello yoni e del lingam, che esperimentava il
rapporto d’amore basato sul piacere reciproco, in netta contrapposizione con la
cultura patriarcale che rilega il piacere femminile alla penetrazione
finalizzata al solo piacere del maschio e all'atto generativo. Con la
demonizzazione dell’Ancestrale Culto Femminino, vivere gioiosamente la
sessualità diventa per la donna atto d’abominio; ancora oggi subiamo i retaggi
di tale deformazione mentale e dell’inconscio collettivo, peraltro stimolato
alla perversione dagli atti criminali consumati ai danni delle donne col nuovo
culto inquisitorio e incoraggiato dallo
stesso Freud il
quale, attraverso orride teorie della sua più perversa psicanalisi sosteneva
che il clitoride fosse un residuo evolutivo del tutto inutile e dunque da
rimuovere alla nascita. Ancora oggi migliaia di bambine vengono sottoposte all'aberrante pratica della clitoridectomia e
della infibulazione. Consiglio la lettura del libro “La chiave del
sigillo” di Lorena Bianchi, che parla in maniera originale della funzione dei
pozzi sacri.
Pozzo Sacro di Santa Cristina di Paulilatino - OR - SARDINIA. |
QUADRO 9:
E non solo nell'architettura cultuale è proposta la concezione androgina della divinità,
ma anche nella ritualità e nel simbolismo cultuale.
Assolutamente
rivelatrice, in questo senso, è il passaggio dalla cultura androgina a quella
patriarcale attraverso l’analisi della
enigmatica figura di SU CUMPONIDORI di SA SATILLIA di
Oristano: la Stella, il Sortilegio. E’ un rito antichissimo legato alle cerimonie prodigiose della fecondità in sincronismo con i ritmi del calendario lunare, i cicli della vegetazione e, sincreticamente con l’attuale candelora dei cattolici, in cui viene purificata la Madonna. Nonostante la festa sia fatta risalire al XV secolo, basta osservare il cerimoniale e lo svolgimento stesso del rituale per comprendere che essa risalga a tempi di gran lunga più antichi, addirittura ancestrali, ai riti cosiddetti pagani.
Sostiene
Tilde Giani Galliano, nel libro “La ferita e il re” “… Ritrovare ai giorni nostri una cerimonia pagano- cristiana del folclore
sardo che si ripete pressoché inalterata nei secoli, forse da millenni, conferma la scoperta compiuta da Jung dell’inconscio
collettivo e degli archetipi, intesi come immagini primordiali autoctone,
cioè capaci di rigenerarsi per forza autonoma e provenienti da una matrice
inconscia comune a tutti i popoli, senza distinzione di tempo, né di luogo, né
di religione o cultura … Secondo la nostra interpretazione, la festa della Sartiglia, rappresenterebbe una vera e
propria annunciazione della fertilità maschile. Vale a dire che il
maschio proclamerebbe in questo modo la sua fecondità e la sua capacità di
riprodursi … Tale annunciazione sarebbe vissuta come una sorta di mistero
gaudioso che per essere assimilato deve essere ri-comunicato e ri-confermato in
modi diversi attraverso i secoli sotto forma di mito, di saga, di danza o di
rito, ed iterato a scadenze cicliche per rassicurare l’inconscio maschile sulla
fertilità dell’uomo, a livello individuale e collettivo … Per ottenerla bisogna ricorrere alla magia delle donne che,
con la loro sapienza e potenza possono trasferire sul maschio, apponendo
l’enigmatica maschera, poteri sovra maschili, cioè femminili. Solo così
il maschio può apparire biologicamente uguale alla femmina, con quegli stessi
poteri che la donna manifesta naturalmente e riconferma di continuo attraverso
la sua sincronicità cosmica … Dopo una lunga vestizione egli diventa femmina
nella parte alta del corpo e gli viene consegnato un mazzo di violette “Sa
Pippìa de Maiu”, ovvero “Bambina di Maggio”, nome ambiguo che potrebbe anche
significare “vergine di maggio” o, anche, l’ambiguità del nome risiede anche
nel fatto che sa pippìa in sardo può significare sia bambina che organo
genitale maschile o femminile.
QUADRO 10:
In Sardegna
si visse in una condizione d’armonia per millenni: per tutto il neolitico coi
riti della Madre e in seguito con la comprensione del contributo alla nascita
del fallo secondo una visione androgina della Divinità. In perfetto equilibrio
con la natura e i suoi elementi fino all'usurpazione della deità così ben
espressa da Su Cumponidori.
Furono gli
sgherri e i parabolani di Gregorio Magno che misero fine, almeno formalmente,
dato che in forme segrete il culto della Madre è continuato per sempre, al
culto della Dea.
Da
Gregorio Magno in poi la chiesa ha investito molte energie per soffocare il
senso religioso tra i sardi. Alla fine, dopo aver tanto distrutto, prese atto che questo popolo era
troppo testardo e che non intendeva rinunciare ai suoi riti. Non restò, però,
sasso, betile, menhir, scultura, in Sardegna, col nome originale: tutto
venne reintitolato con denominazioni richiamanti le nuove divinità o
indicato come demone di cui aver paura. Fu inculcato il senso di colpa e fatto
leva sul timore delle tenebre infernali.
Particolarmente abominevole fu l'azione consumata contro le Janas, Sacerdotesse-Maestre del Tempo e Custodi delle Fonti Sacre della Salute che, indomite, resistevano a procrastinare la millenaria religione. Esse furono violate e spesse volte uccise, nonché, in maniera nefandamente antecedente, rispetto ai roghi della Santa Inquisizione in Europa, vennero dipinte come donne malefiche e chiamate Orgias, streghe, in opposizione al termine Janas, che significa "CAPO", a definitiva significazione del carattere muliebre dell'organizzazione sociale, come detto ancestrale retaggio della civiltà, in Sardegna, dal Paleolitico. Ancora oggi restano le spaventose leggende raccontate al caminetto, "contus de forredda", dalle nostre nonne, "Orgia 'aràbiosa" o Lughìa aranegòsa", l'avara strega trasformata in pietra da dio a causa della sua crudeltà. Non a caso, come dicevo, ogni pietra, in Sardegna, da sacra è diventata soggetto di maleficio e/o punizione divina.
Particolarmente abominevole fu l'azione consumata contro le Janas, Sacerdotesse-Maestre del Tempo e Custodi delle Fonti Sacre della Salute che, indomite, resistevano a procrastinare la millenaria religione. Esse furono violate e spesse volte uccise, nonché, in maniera nefandamente antecedente, rispetto ai roghi della Santa Inquisizione in Europa, vennero dipinte come donne malefiche e chiamate Orgias, streghe, in opposizione al termine Janas, che significa "CAPO", a definitiva significazione del carattere muliebre dell'organizzazione sociale, come detto ancestrale retaggio della civiltà, in Sardegna, dal Paleolitico. Ancora oggi restano le spaventose leggende raccontate al caminetto, "contus de forredda", dalle nostre nonne, "Orgia 'aràbiosa" o Lughìa aranegòsa", l'avara strega trasformata in pietra da dio a causa della sua crudeltà. Non a caso, come dicevo, ogni pietra, in Sardegna, da sacra è diventata soggetto di maleficio e/o punizione divina.
QUADRO 11:
Mi capita,
concentrandomi nella visualizzazione del crudele misfatto, consumato a danno
delle sacerdotesse dell’acqua sacra, di immaginare la protervia malefica dei sopraffattori del nuovo culto del Dio Padre i quali, calunniando e vituperando
le artefici del millenario culto, esperimentarono ogni escamotage per eliminare
il culto ancestrale.
La
distruzione del nemico attraverso l’ars diffamatoria venne sicuramente affinata
in quel contesto storico, raggiungendo l’apice in epoca medioevale attraverso i
processi fatti alle streghe in tutta Europa.
La Chiesa ha prodotto nei secoli diversi ottimi documenti come il Canon
Episcopi, risalente addirittura all'undicesimo secolo e destinato ai vescovi contro
la superstizione, dall'altro ci sono ben 13 bolle in cui viene accettata la
realtà della stregoneria, tutt'oggi non abiurata, quindi ancora valida! (Web: la Santa Inquisizione di Maria Benedetta Errigo).
"Fra tutte le eresie, la più
grande è quella di non credere nelle streghe e con esse, nel patto diabolico e
nel sabba", questa è una citazione dal libro Malleus Maleficarum, il
Martello delle streghe, il libro su cui si basarono gli Inquisitori per le
torture e i processi alle streghe.
Tuttavia, l’aberrazione
e la diffamazione come mezzo di eliminazione delle donne dal panorama
religioso, filosofico e culturale in generale, identificate come plausibile
“nemico della chiesa” è esercizio da sempre usato da papi e vescovi, che
avevano tutto l’interesse politico a far si che la divinità venisse intesa in
senso maschile, non femminile.
Il culto del
Dio Padre assunse a sé la concezione trina dei riti alla Dea, quando nella
rappresentazione taurina sintetizzava il femminino col mascolino uniti dal
soffio divino in una perfetta e immortale relazione. La trinità volse
completamente al maschile (padre, figlio e spirito santo) e fu inculcata nel
popolo la concezione equivoca del Dio Unico.
La
donna, da dea, fu sottomessa dalla forza brutale dei rappresentanti della nuova
religione, divenne schiava, ancella del signore: non più sua pari e parte
complementare della divinità. Venne relegata nei ranghi più infimi e
annientata, anche attraverso l’utilizzo dei mezzi più crudeli, affinché col
terrore e la paura potesse restare l’imprinting di inferiorità nei millenni,
finanche rimuovendo le origini della vera storia e della reale identità della
donna.
In Sardegna,
fortunata terra d’equilibrio e armonia, luogo tra i primi illuminanti esempi di
sintesi perfetta tra le tre sfaccettature della divinità, gli adoratori delle
stelle vennero infamati e accusati di paganesimo e adorazione del diavolo e
perseguitati. A pagare lo scotto maggiore di tale persecuzione furono le
sacerdotesse dei riti sacri (aria, acqua, terra, fuoco), custodi del Tempo,
della Tradizione e delle pelli sacre. Le janas, maestre di scrittura, di
medicina e di filosofia, vennero sistematicamente perseguitate e annientate in
tutto il bacino del Mediterraneo.
La storia è piena di episodi eclatanti che
dimostrano la sistematica rimozione della deità del femminino a favore
dell’Uomo – Dio Padre
QUADRO 12:
Voglio
rendere testimonianza e onore, in questa mia dissertazione di ricerca a colei
che, per me, rappresenta uno degli esempi più eclatanti e rivelatori della
tragedia che noi donne subimmo con l’avvento del patriarcato. Parlo della
Filosofa, Maestra, Matematica Ipazia di Alessandria
d’Egitto che, nel 415, rivestiva un ruolo sociale di grande prestigio. Socrate Scolastico e altri storici la
rappresentavano come una delle figure di massima saggezza e competenza oratoria
dell’epoca, ascoltata attentamente in qualsiasi consesso, anche interamente al
maschile. La sua scuola di matematica e logica era rinomata e frequentatissima.
Ella era custode del Sapere Millenario e della biblioteca di Alessandria, la
più importante del mondo in quell'epoca L’esecrabile assassinio di Ipazia fu
consumato sullo sfondo della calunnia presso il popolo della chiesa che
sosteneva che ella, grande amica del prefetto di Alessandria (del quale era
stata maestra) Oreste, impedisse a costui di riconciliarsi col vescovo Cirillo. Nel marzo
415, in quaresima, un gruppo di cristiani e parabolani, guidati da un certo
Pietro, sorpresero Ipazia al ritorno a casa. La tirarono giù dal carro
trascinandola sul sagrato della loro chiesa; lì giunti le strapparono la veste
e la lapidarono con dei cocci; la fecero a pezzi con schegge di conchiglie e, infine,
bruciarono i poveri resti nel cosiddetto Cinerone. Dopo la morte di Ipazia fu
aperta un’inchiesta-farsa, dalla quale risultò la non responsabilità del
vescovo Cirillo, sostenuto dalla corte imperiale di Costantinopoli in cui
regnava Elia Pulcheria, sorella dell’ancora minorenne Teodosio (408-450).
Entrambi
costoro, Cirillo e Elia, vennero dichiarati santi
dalla chiesa e ancora lo sono.
Solo cento
anni dopo, nel 485, il filosofo Damascio,
recatosi ad Alessandria, vide quanto ancora era vivo il ricordo della grande
donna filosofa Ipazia e, così, scrisse la sua biografia. In essa Damascio non
nasconde nulla e, senza mezzi termini, accusa esplicitamente Cirillo e la corte
imperiale della sua morte.
Ecco il
rendiconto dell’assassinio di questa donna.
(Per inciso: da me tanto amata e che
abbraccio con le lacrime agli occhi per il supplizio che dovette sopportare per
tutte noi nei secoli dei secoli).
“… Cirillo, vedendo la gran quantità di persone
che frequentava la casa di Ipazia, si rose a tal punto nell'anima che tramò la
sua uccisione, in modo che avvenisse al più presto possibile. Un’uccisione che
fosse tra tutte la più empia. Una massa enorme di uomini brutali, veramente
malvagi, uccise la filosofa e mentre, ancora, respirava le cavarono gli occhi.
Dice di Ipazia Adriano Petta, coautore del romanzo
storico a lei dedicato “Ipazia,
scienziata alessandrina: come la Chiesa cattolica assassinò una delle menti
migliori dell’antichità”:
“Ipazia fu una donna grandissima … astronoma, matematica,
filosofa: ho avuto paura di non riuscire a onorare la prima martire della
Ragione.
Che accadde quel lunedì 8 marzo dell'anno 415?
Ipazia aveva 45 anni. Stava dedicando tutta se stessa allo studio
e alla diffusione della conoscenza non solo tra gli studiosi, ma in mezzo al
popolo: sapeva che la Conoscenza era strumento d'emancipazione, di libertà.
Questo fu il motivo principale che portò l'alto prelato di Alessandria d'Egitto
a ordire un crimine così efferato nei riguardi di una delle più grandi creature
che il genere umano abbia mai avuto. 500 monaci parabolani - le guardie del
corpo del vescovo e patriarca Cirillo, che pochi mesi prima avevano massacrato
e cacciato da Alessandria l'intera comunità ebraica - l'afferrarono mentre
tornava a casa, la trascinarono nel Cesareo, la cattedrale cristiana, la
denudarono, il loro capo Pietro il Lettore con dita armate di unghie
affilatissime le cavò gli occhi e li gettò sull'altare, la lasciò in pasto alla
turba scatenata che - con degli affilatissimi gusci di conchiglia - la fecero a
pezzi, corsero per la città inneggiando alla vittoria, trascinando un sacco
grondante di resti sanguinolenti. Alessandria era finalmente libera da colei
che guariva con la magia della musica e che studiava astrologia. Si recarono al
Cinerone, dove si bruciava la spazzatura, e lì gettarono i resti mortali d'Ipazia,
esultando con le parole di Agostino che diceva che la donna è solo
"immondizia".
Agostino, Cirillo, Ambrogio, Giovanni … l'esercito di vescovi cristiani che
sottomisero l'impero romano agonizzante. Ambrogio riuscì a far strisciare ai
suoi piedi - nella cattedrale di Milano - l'imperatore Teodosio: era il natale
del 390 d.C., data che avrebbe segnato il destino dell'umanità intera. La
Chiesa non aveva più ostacoli davanti a sé … tranne quell'inguaribile
sognatrice-scienziata pagana di Alessandria che dopo una giornata di studio,
indossava il mantello nero dei filosofi e andava in giro per la città in mezzo
alla gente, a insegnare Platone, Aristotele, astronomia, l'uso della ragione,
consigliando di non portare in chiesa oro o donazioni per curare un figlio
malato, ma di andare da un medico. Il massacro d'Ipazia servì anche da esempio:
nessun allievo, infatti, ebbe il coraggio di lasciare una testimonianza. Chi
tentò di farlo, scomparve assieme ai suoi scritti. Alcuni si rifugiarono in
India. Il vescovo e patriarca Cirillo governò da padrone assoluto Alessandria
per i successivi trent'anni. I libri d'Ipazia e di tutta la Scuola alessandrina
furono bruciati, la sua memoria cancellata. Il martirio che subì Ipazia segnò
la fine della più importante comunità scientifica dell'umanità. Ma Cirillo non
pensò a distruggere le lettere di Sinesio di Cirene, l'allievo più caro
d'Ipazia, diventato vescovo di Tolemaide: a lui dobbiamo molte delle notizie
della vita e delle opere della scienziata alessandrina. Vita raccontata,
inoltre, dagli storici Socrate Scolastico, Damascio, Filostorgio e Sozomeno.
San Cirillo d'Alessandria, Sant'Agostino da Ippona, Sant'Ambrogio da Milano e
San Giovanni Crisostomo… santi e padri della Chiesa. Che poteva fare Ipazia
contro questi quattro colossi? Solo gettare dei semi, i semi della Conoscenza.
Scrivere e nascondere dei libri sotto al Faro d'Alessandria con la speranza di
tramandare ai posteri il suo Sapere.
Anche per restituire a creature come Ipazia un po' di giustizia.
Con la speranza di arrestare la dissoluzione dell'impero e
l'avanzata dei barbari, Teodosio I e i suoi figli firmarono uno scellerato
patto di sangue con la Chiesa cattolica. Ambrogio fece promulgare
all'imperatore un editto dietro l'altro facendo cancellare ogni forma di
studio, di libero pensiero, di religione che non fosse quella cristiana.
Bruciarono tutti i templi pagani, i sacerdoti, le biblioteche, cancellarono le
Olimpiadi, i misteri eleusini. Lasciarono completa libertà a Cirillo affinché
divenisse il padrone assoluto di Alessandria. Il vescovo-patriarca Cirillo
aveva studiato per cinque anni nel monastero della Nitria, lì era stato
ordinato Lettore, lì aveva stretto vincoli d'amicizia con i monaci parabolani -
di cui si servì per sterminare ebrei, nestoriani, novaziani e pagani - e con
Pietro il Lettore, a cui ordinò di trucidare Ipazia, l'ultima voce libera
dell'antichità.
Non è a caso che a Ipazia fu riservata una morte così atroce...
Erodoto disse che "un uomo si giudica dalla sua morte". Lei era l'erede
della scienza antica, l'ultima rappresentante della scuola che aveva cambiato
la concezione del mondo. Aveva rifiutato di convertirsi al cristianesimo
dicendo "Se mi faccio comprare, non sono più libera. E non potrò più
studiare. È così che funziona una mente libera: anch'essa ha le sue
regole".
Se fosse stata uomo,
l'avrebbero solamente uccisa. Essendo donna, dovevano farla a pezzi, come la
dea madre di Babilonia, nella cattedrale cristiana, per rendere quel massacro
simbolico d'un sacrificio. Per escludere, nel cammino dei secoli a venire, metà
del genere umano. Questo delitto segnò la fine del paganesimo, il tramonto
della scienza e della dignità stessa della donna. Ancora oggi nel mondo della scienza solo un 5% dei vertici è
donna, mentre è donna oltre il 60% della manovalanza. Nel 1999 l'Unesco ha
creato un organismo per aiutare la donna a entrare nel mondo della scienza e a
questo progetto ha dato il nome "IPAZIA".
Ecco, nel Cinerone
bruciarono Ipazia, sorella illustre, da tutti ancora considerata tra le più
grandi personalità della cultura umanistica, storica, filosofica e scientifica
dell’Umanità.
Se fosse stata uomo, l’avrebbero solamente uccisa.
Essendo donna l’hanno fatta a pezzi, nella cattedrale cristiana, per rendere
quel massacro simbolo di terrore per le altre donne, affinché ogni loro
anelito di libertà venisse represso nel sopruso e nella paura.
QUADRO 13:
Questo era
il metodo in uso. Dunque perché non anche in Sardegna?
Ancora oggi
viviamo anche noi le medesime condizioni culturali in una perenne condizione di
sudditanza e inferiorità rispetto all'autorità costituita e al genere maschile.
La domanda è
ovvia.
Furono
queste le stesse modalità con le quali vennero assassinate anche qui tutte le
sacerdotesse-maestre-janas che tenevano viva la Tradizione Ancestrale?
Molti
studiosi, ormai, testimoniano la grandezza della nostra scuola di filosofia e
scrittura: una delle più insigni del Mediterraneo, a giudicare dalla ricchezza
della Civiltà che stiamo pian, piano riscoprendo, ma che è sotto i nostri occhi
se ci degniamo di osservare attentamente quanti oggetti rappresentano tale
grandezza attraverso i vari retaggi del quotidiano esistere in Sardegna, sempre
soverchiati sincreticamente da operazioni della chiesa cattolica.
Come furono
violate e uccise le nostre sacerdotesse, le nostre janas, maestre, guaritrici,
shamane, filosofe, matematiche?
Mi sono
chiesta in che modo avrei potuto trovare testimonianze certe di tali
efferatezze.
Ed ecco
l’illuminazione: nella Lingua di Cabras!
Sono andata
a frugare nel mio bagaglio linguistico del crabarissu ancestrale e
all’improvviso risuona nella mia mente una frase usatissima tra i vecchi della
mia infanzia e nella mia famiglia; una frase sentita tante volte, ma mai inquadrata
consapevolmente e ascoltata per il suo giusto significato.
La frase è:
“‘Ancu sìast fitiperiàda, spredigonàda e ispreditziàda in su
fogu po sempiri!”.
Traduzione:
“ Che tu sia ingiuriata, uccisa con le pietre e
dispersa per sempre nel fuoco!”.
ILLUMINANTE!!!
Quanti
assassini crudeli e quanti roghi sono stati consumati sull’eco di questa
maledizione!
|
L’uomo, deviato dal potere
onnipotente del suo genere, non poté più concepire l’equilibrio dell’androginia
e il furore della supremazia giustificò i raptus d’odio che si consumarono
sulla donna nei secoli dei secoli. Riuscito è il tentativo di rilegarla in una
condizione perpetuamente inferiore e asservita al maschio, divenuto signore
assoluto della Terra dall'avvento del Dio Padre, il quale soverchiando la
Natura - Dea Madre e la forza androgina del culto religioso, impose
definitivamente, fino a oggi, la supremazia dell’Uomo sulla Natura.
CON LE GRAVISSIME CONSEGUENZE, PER IL PIANETA, CHE SONO SOTTO GLI OCCHI DI TUTTI!
QUADRO 14:
In Sardegna,
tuttavia, persevera, in maniera nemmeno tanto latente, la visione di Maat che
ha saputo bucare la cortina spazio-temporale.
Perlomeno è
grande la consapevolezza che il modello misogino sta portando il pianeta al collasso e
molte forze implorando il ritorno della Dea per porre fine al tormento e
tornare all'Armonia.
E’ tipica
del nostro retaggio culturale ancestrale la relazione dialettica concepita
secondo una visione armonica tridimensionale la cui relazione implica la
dualità sempre inscritta in un contesto trino. Una trinità imprescindibile dove l'androginia è contenuta nello spirito divino; dove causa ed effetto, dunque la
relazione casuale va ad incastrarsi perfettamente e sincronisticamente con
l’evento acausale, proponendo come costante una concezione circolare della
vita, sempre filosoficamente interpretata secondo una visione cosmica: così nell'architettura così nella scrittura, entrambi atti religiosi sacri
dell’opera umana, dai quali scaturiscono tutte le altre opere che rendono all'uomo la sua divinità.
Nei millenni
di storia della nostra amata isola la costante è quella dell'aver saputo
travalicare il tempo tramandando, di generazione in generazione, una cultura
straordinaria che, purtroppo, è stata gravemente compromessa di secolo in
secolo.
QUADRO 15:
Oggi, nonostante
la frustrante rimozione della nostra storia, cerchiamo di ritrovare i pezzi del
puzzle, coinvolti in un'azione tra pari di buona volontà che, in generale, si
battono per il ripristino delle verità storiche
e l'annientamento delle mafie imperanti.
Noi abbiamo
la fortuna di poter osservare il passato nel presente.
La nostra vita è uno straordinario stargate, ove poter controllare con approccio sistemico e olistico le tracce di antichi passi che possiamo ritrovare non solo con lo studio dei formidabili siti e reperti archeologici, ma nel quotidiano esistere attraverso le meravigliose opere della nostra sartoria, oreficeria, medicina, fitoalimurgia, cucina, panificazione, e rito.
La nostra vita è uno straordinario stargate, ove poter controllare con approccio sistemico e olistico le tracce di antichi passi che possiamo ritrovare non solo con lo studio dei formidabili siti e reperti archeologici, ma nel quotidiano esistere attraverso le meravigliose opere della nostra sartoria, oreficeria, medicina, fitoalimurgia, cucina, panificazione, e rito.
Soprattutto
nel rito ogni citata opera e manifattura è ascrivibile, in quanto ogni cosa ha
sacro valore e tutto viene inscritto in un contesto naturale congruo, cui
l'oggetto è sacro simbolo: la roccia è sacra, l'acqua è sacra, la natura è
sacra. Ancora oggi la roccia è considerata magica e taumaturgica: in Sardegna,
non vi è sasso che non sia legato ad una leggenda. La tradizione orale ha
portato fino a noi gli echi di una cultura mitologica ricchissima che si è
conservata nonostante i parchi precetti imposti, con grande fatica, dal
lentissimo processo di cristianizzazione. Non c'è donna vecchia, ancora oggi,
che non conosca le pratiche antimalocchio, de s'ogu, nenniri, brebus,
afumentus, acua likornia, imbruscinaduras: arti terapeutiche legate ai lunistizi, i momenti opportuni per
tagliare la canna e i capelli e i vari tipi di legna o arbusti e per curare i
mali minori. Molte feste religiose segnano il giusto tempo per tali
ritualità camuffate dal dogma cattolico. Per esempio, a dimostrazione
della dialettica androgina della divinità ancestrale, a Pasqua S'INCONTRU
tra Maria e Gesù risorto, non contemplato in alcun vangelo, persiste in
Sardegna in sostituzione dei primi riti del solstizio di primavera, laddove al
buio e al freddo inverno segue la nuova vita e la festa della primavera e
dell'abbondanza del futuro raccolto. Nella notte di SAN GIOVANNI si raccolgono
le erbe medicinali e si praticano numerosi riti medicamentosi (meighina
de is porrus in funtàna; afumèntu po su daori 'e conca; s'enna 'e s'anima
aciufada; antosas; caloris e frigatzionis de mei). Per SANT'ANTONIO le
notti di moltissimi paesi dell'isola brillano della luce di enormi falò, fagalonis, le
cui ceneri propiziatrici vengono poi sparse nei campi dalle
donne, poiché sono esse a dare la vita. Ho partecipato, quand'ero
ragazza, ad uno di questi commoventi riti ed è stato un onore, per me, spargere
le ceneri sulla terra all'alba. Debbo anche dire, per dovere di cronaca, che
questa usanza è andata sparendo in questi anni; le ceneri vengono raccolte da
coloro che vegliano il fuoco tutta la notte, non necessariamente dalle donne:
si è perso il connotato antropologico originario.
Mia nonna mi
raccontava che la donna fino ai primi del novecento era considerata sacra:
quando era incinta metteva sa "perra in tzrugu me in s'umbustu"
(un fazzoletto sul corpetto di broccato) delle tonalità dell'azzurro e gli
uomini si "spogliavano" del cappello al suo passaggio facendo un
inchino.
Lo trovo
meraviglioso!
Peraltro di
questa usanza sono forse unica testimone, dato che non ho mai trovato riscontro
di tale usanza in alcun testo.
Mi
piacerebbe che chi legge, se conosce qualcosa di pertinente me lo facesse
sapere.
Tutto veniva
purificato dal fuoco e benedetto dall'acqua.
Al bimbo appena nato o alla giovinetta che aveva il primo mestruo si metteva un braccialino verde al polso cun d'unu corritteddu de crebu imbrebàu (un cornetto di cervo benedetto con i brebus), o una collanina d'oro o argento con appeso su skrapolariu contro il malocchio: un sacchettino in pelle o in stoffa pregiata che conteneva un miscuglio di erbe sacre e benedette in luna piena o un occhio di santa Lucia immerso in acqua nella fonte sacra. Particolare attenzione viene riservata alla difesa dalle persone invidiose contro le quali trova significativo riscontro la lavorazione di amuleti in ferro da appendere al collo contro il velenoso influsso della malvagità e dell'invidia: nella notte di passione della domenica delle palme migliaia di forreddas nelle botteghe dei fabbri ferrai si accendevano con mantice a braccia e a suetus in Sardegna.
Al bimbo appena nato o alla giovinetta che aveva il primo mestruo si metteva un braccialino verde al polso cun d'unu corritteddu de crebu imbrebàu (un cornetto di cervo benedetto con i brebus), o una collanina d'oro o argento con appeso su skrapolariu contro il malocchio: un sacchettino in pelle o in stoffa pregiata che conteneva un miscuglio di erbe sacre e benedette in luna piena o un occhio di santa Lucia immerso in acqua nella fonte sacra. Particolare attenzione viene riservata alla difesa dalle persone invidiose contro le quali trova significativo riscontro la lavorazione di amuleti in ferro da appendere al collo contro il velenoso influsso della malvagità e dell'invidia: nella notte di passione della domenica delle palme migliaia di forreddas nelle botteghe dei fabbri ferrai si accendevano con mantice a braccia e a suetus in Sardegna.
Questo fino
alla seconda metà del novecento.
QUADRO 16:
Da “LA
FERITA E IL RE” di Tilde Giani Gallino: “ … Un
re medioevale, avvolto nel suo manto di ermellino, custodisce una coppa magica
e soffre, al cambiar della luna, di dolori mestruali. Un cavaliere maschio,
travestito da donna, corre ancor oggi al galoppo sulle strade della Sardegna
per rendere fertili i campi. Ognuno di noi si è divertito almeno una volta
nella vita a penetrare in un labirinto anche solo disegnato, per poi dimostrare
di saperne uscire; e ognuno di noi non si è potuto trattenere dal pensare alla
“buona fortuna” guardando un ferro di cavallo … Quando si è costituita la
società patriarcale, tuttora dominante, si sono voluti artatamente creare due
blocchi contrapposti: da un lato la cultura maschile = Logos = la fredda
razionalità = la padronanza di sé = l’aggressività = l’autorevolezza e
l’autoritarismo di chi si sente chiamato a dominare le sorti del mondo e non ha
dubbi d’essere il migliore. Dall’altro lato la biologia femminile con tutti i
suoi stereotipi: i comportamenti governati dall’Eros, i sentimenti lasciati trapelare
o addirittura sbandierati, gli atteggiamenti passivi, l’arrendevolezza, la
disposizione ad accettare di essere guidate dai maschi. La ciclicità
considerata quasi come un handicap che può influenzare i modi di essere e le
scelte della vita e di lavoro, o impedire la professionalità … Ancora oggi,
basta andare un po’ a fondo a qualsiasi discorso, o osservare gli atteggiamenti
dei singoli e dei gruppi, per scoprire che al di là della patina di modernità,
di apertura, la cultura maschile predomina e, soprattutto, si contrappone alla
biologia femminile … Al contrario di quanto si crede comunemente, in realtà, è
proprio la cultura patriarcale e maschile ad essere collegata in modo
indissolubile alla biologia … L’uomo si è tanto calata nel biologico da confondere
le funzioni intellettuali con quelle genitali-maschili. Non avere il fallo
equivale a non avere il cervello, non avere un mente pensante e, soprattutto,
non poter accedere alle cariche di potere e alle professioni più prestigiose …
Solo l’uomo può fare la storia … la donna può avere solo una storia personale.“.
Ma come noi
abbiamo visto nei quadri di questa coperta non è sempre stato così: gli esseri
umani, ancor prima delle piramidi egizie e dei nuraghi, hanno esperito un modus
vivendi al femminile votato all'armonia.
Tale
considerazione ci autorizza a fare quella immediatamente successiva che
potrebbe di nuovo non essere così! E’, infatti dagli archetipi della biologia
femminile che sono scaturiti i contenuti della cultura maschile: non viceversa.
Perfino la ciclicità mestruale e la sua fertilità sono state assorbite ai fini
del potere maschile, attraverso i miti come quello di Su Cumponidori qui in
Sardegna o altri della cultura europea, come ad esempio quello medioevale del
re del Graal, il re magagnato, che soffriva per una stranissima ferita
nell’inguine, che non si rimarginava mai e che sanguinava e gli recava un
particolare dolore al cambio di luna.(pag 23). Tale, evidente, metafora del ciclo mestruale,
non solo non rendeva ridicolo il re ma, al contrario, grazie a tale
caratteristica, egli acquistò fama di possedere doti taumaturgiche e magiche
QUADRO 17:
Nella nostra cultura ogni
manifestazione che nella donna assume connotati disprezzabili, diventa sacro e
mitico al maschile: il mito del re ferito che sanguina ciclicamente e che
custodisce il mistero del Graal ebbe notevole successo dal 1190 al 1250 dove
tali racconti mitologici fiorirono anche nei due secoli dopo, dove si
intersecano misteriose relazioni tra il Graal dell’Immortalità con le avventure
di Parcival, Artù e i cavalieri della tavola rotonda fino alla storia di
Giuseppe d’Arimatea, cantate dal famoso poeta Chretièn
de Troyes e Wolfram von Eschenbach (pag. 20). Tali miti dimostrano che l’archetipo del supremo potere femminile,
sconfitto nei millenni, tormenta inconsciamente il maschio il quale, nell’invano
tentativo d’essere divino come la donna si è macchiato di colpe imperdonabili poiché
impresse, oramai, nell'anima mundi. Com'è deducibile tale supplizio si agita nell'inconscio collettivo; nella cattiva
coscienza tormentata dai rimorsi: esso è causa del malessere di vivere
insinuatosi subdolamente nella società contemporanea, ancora complice di tale
nefandezza.
|
QUADRO 18:
All'inizio era
Madre e Figlia, ma la Madre cedendo alla forza totale dell’Amore ha voluto
rendere deità anche al Figlio. Tale passaggio è stato determinante per
l’evoluzione del libero arbitrio della specie umana. La Madre, in nome della
coerenza nel rendere i propri figli dei ha preferito rischiare d’essere fatta a
pezzi dal figlio ingrato e malvagio. Cosa
che si è puntualmente verificata nel prevalere della presunzione di superiorità
di genere.
L’Uomo si è fatto Dio e ha
concepito la sua Grandezza. In essa la continua minaccia dell’Apocalisse come
punizione al Male in eterna diatriba col Bene.
Anche questa
querelle totalmente gestita al maschile, come sappiamo.
QUADRO 19:
Ma se per Parzival valeva il principio che egli sarebbe rimasto magico a patto che nessuno parlasse del mistero del suo inguine sanguinante, io credo fermamente che lo stesso precetto valga anche per noi donne e uomini d’oggi: nel silenzio lasciamo che si consumino le peggiori atrocità. Una cosa che ancora non ho detto: la cultura della Madre reclama il coraggio della testimonianza e la coerenza dell’impegno perseverante per il ripristino dei veri valori dell’Esistere secondo Giustizia, Uguaglianza e Condivisione.
E’ la cultura della felicità come dovere e dell’esser consapevoli circa lo scopo reale della Vita sul Pianeta.
Parliamo, diciamoci ciò che sappiamo, togliamo il potere al solo Padre e riprendiamoci l’armonia della Madre e del Padre insieme, come è nella nostra genesi.
Poiché sappiamo che chi lascia che l’Ingiusto sieda al posto del Giusto merita di sprofondare nell'abisso.
La Madre Androgina non concepisce l’Apocalisse, ma persegue la via dell’Amore e della Pace in Terra.
QUADRO
20:
L’impostazione bellica delle società sempre impegnate
nell’ampliamento degli imperi, la definizione della nuova geografia sul pianeta,
determinarono una sempre più severa e cruenta visione maschilista e patriarcale
della società. In tale quadro sociale la donna ebbe uno spazio sempre più
esiguo e dipendente dal maschio, che divenne suo padrone schiavizzandola per
secoli. Nella società romana e peggio in quella greca,
per esempio, le bambine venivano promesse spose da appena nate e concesse al
marito dodicenni, con quel che ne consegue in
materia di stupri autorizzati e innumerevoli morti per precoci parti. Il pater familias aveva sulla donna diritto di vita e di
morte. Solo nel primo secolo a.C. e fino al
primo d. C. le donne romane conobbero un tempo di emancipazione dalla schiavitù
nei confronti dei maschi: avvenne poiché raggiunsero l’indipendenza
economica attraverso strategie intelligenti di commercio e eredità. Famosa la
presa di posizione delle donne romane durante il regno di Ottaviano Augusto le quali, per salvarsi dalla
punizione del reato di adulterio che prevedeva gravissime pene, se non la
morte, non essendo questo previsto per le meretrici, si
iscrissero in massa nei registri della prostituzione, professione che godeva di
grande libertà. In Sardegna la donna visse in maniera molto dignitosa,
nonostante gli sconvolgimenti sociali, fino al tempo dei giudicati. Eleonora fu l’ultima rappresentante
di tale retaggio culturale che, si era tuttavia definitivamente
affievolito con l’avvento della Chiesa Cattolica e i suoi continui atti
soppressivi e impositivi, la quale impersonò concretamente il potere del pater
familias definitivamente formalizzato nella
Legge delle XII tavole. I diritti del pater
familias vengono tutt’ora esercitati presso molte società nel mondo, infatti,
come ben sappiamo la violenza sulle bambine e le mogli bambine si consumano in
maniera aberrante in migliaia di casi nel quotidiano sotto i nostri esterrefatti occhi.
FOTO DI STEPHANY SINCLAIR |
QUADRO
21:
INNO
ALLA DEA ISHTAR
875 A.C.
Quando sono seduta
sulla soglia di una taverna,
io, Ishtar, la Dea,
sono Prostituta, Madre, Sposa
e Divinità.
Sono ciò che si chiama Vita;
benché voi la chiamate Morte.
Sono ciò che si chiama Legge
Benché voi la chiamate Emarginata.
Io sono quello che voi cercate
E quello che avete ottenuto.
Io sono ciò che avete diffuso.
E ora raccogliete i miei pezzi.
Mantra
Ecco, io, cucendo i quadri
della mia coperta patchwork, ho cercato di raccogliere e rimettere insieme i
pezzi della Madre bruciati nei cineroni del mondo patriarcale.
E’ un passaggio obbligatorio
per poter ristabilire precetti d’uguaglianza, essendo consapevoli delle colpe
di cui la società patriarcale si è macchiata dal momento del ripudio della
concezione androgina e della pari dignità imposta da Maat, la Regola Immortale.
A noi l’utopia di tornare
dentro al precetto salvifico prima che sia troppo tardi.
Graziella Pinna Arconte
(Copyright © Maggio 2013 by Graziella Pinna
Arconte, all right reserved.)